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Opinione scritta da Celestial Dream

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Opinione inserita da Celestial Dream    11 Marzo, 2025
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Lo storico cantante irlandese Robin McAuley, che con la sua voce ha regalato momenti indelebili collaborando con band come Grand Prix, Far Corporation, MSG e Michael Schenker Fest, torna con un disco solista di stampo hard rock ed intitolato “Souldboun”. La sua voce continua a graffiare e a muoversi con destrezza lungo le nuove composizioni, qui più possenti e meno AOR che in passato, per le quali ha collaborato in primis Aldo Lonobile, ormai punto focale in diverse produzioni della Frontiers Records.
Un lavoro più chitarristico, come dimostrano subito i brani di apertura “Soulbound” e “The Best of Me”, due song ruvide e grintose con riff decisi e chitarre fumanti dove l'ugola di Robin può muoversi con enorme carica ed energia. Nonostante però l'ottimo lavoro svolto sia a livello vocale che per quanto riguarda gli strumenti, con in particolare le chitarre assolute protagoniste con bei solo, sembra mancare sempre qualcosa a livello di songwriting. Il disco è solido e possente, come detto, e ciò è confermato con la robusta “Let It Go”, durante la quale si respira il sound 100% americano, e si concede pure qualche momento più melodico, vedi “Crazy” e “One Good Reason”, quest'ultima tra i momenti migliori della tracklist con qualche influenza alla Whitesnake. Ma nessun pezzo sembra lasciare davvero il segno restando impresso nella mente anche dopo alcuni ascolti anche se proprio avvicinandosi al finale, la più dinamica e ruffiana “Born To Die” sembra accendere qualcosa.
Insomma “Soulbound” sembra proprio il classico disco che ci capita di incontrare negli ultimi tempi, dove tutto è fatto con maestria ma a mancare è un po' di sentimento e di personalità.

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4.5
Opinione inserita da Celestial Dream    27 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 2025
Top 10 opinionisti  -  

L'attesissimo ritorno dei Perfect Plan, una delle band capaci negli ultimi tempi di elettrizzare gli ascoltatori dell'AOR ottantiano, arriva ora con “Heart Of A Lion”. Merito dell'ugola d'oro del loro leader Kent Hilli, autentica gemma del panorama attuale e di un songwriting fin da subito scoppiettante.
Certo, dopo alcune releases è sempre lì nascosto dietro l'angolo, minaccioso, il calo di ispirazione. Sarà già arrivato con questo “Heart Of A Lion”, quarto album in studio? La risposta è “NO!” anche se certamente un piccolo segnale di stanca è palpabile (in particolare nella parte finale dell'ascolto). Ma lungo la tracklist sono presenti alcune super hits che, grazie al lavoro eccelso alle chitarre dello scintillante Rolf Nordström e di un'interpretazione vocale ancora da applausi del già citato Kent, possono ottenere un gran bel risultato complessivo.
La linea sonora segue ciò che il gruppo ha presentato in passato, con pezzi altamente melodici e dal pathos eroico, tipico di bands storiche come Survivor e Foreigner.
Parliamo della title-track, che apre l'ascolto con un crescendo altamente coinvolgente, e del singolo “We Are Heroes”, capace di catturare fin da subito con un refrain da stadio ed il vibrato che colpisce da parte del cantante svedese. Certo, nessun effetto sorpresa, ma è davvero difficile non lasciarsi andare quando si ascoltano pezzi così appassionanti. Le note maggiormente AOR di “All Night”, con le tastiere a farla da protagoniste, si ritrovano anche nella spensierata “Turn Up Your Radio”, brano vivace ed ultra-catchy che cerca di ricreare proprio quel mood commerciale e radiofonico degli Eighties.
E l'esame dalle ballata viene superato a testa alta con la drammatica ed emozionante “My Unsung Hero”, momento clou dell'ascolto! Le sonorità più patinate di “Too Tough” diventano massicce durante la partenza, prima che l'ugola splendente di Kent prenda in mano la scena.
E, verso il finale, pezzi come “Lady Mysterious” e “One Touch”, senza far gridare al miracolo, sono comunque brani che si lasciano ascoltare con enorme piacere e che almeno il 90% della concorrenza invidierebbe ai Perfect Plan.
Energia, talento, pathos.... “Heart Of A Lion” è un gran bel disco che tutti gli amanti del quintetto svedese apprezzeranno e che potrà appassionare anche chi si affaccia alla musica di Keint Hilli e soci per la prima volta.

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3.5
Opinione inserita da Celestial Dream    26 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 2025
Top 10 opinionisti  -  

Un bell'hard rock energico, melodico e a tratti raffinato, è quello che incontriamo sulle note di “Northern Lights”, lavoro composto dalla band inglese Heaven’s Reign. Sonorità piuttosto classiche che conducono il disco attraverso brani appassionanti grazie a linee vocali intense (a tratti riconducibili ai maestri FM, agli Heartland e, perchè no?, ai grandi Whitesnake), ma con chitarre sempre belle graffianti e sulle quali si ergono le fondamenta di questi pezzi.
Tutto funziona bene già dai primi giri perchè i brani risultano freschi e mostrano una buona dose di classe. L'ugola del bravo Rik Cayton possiede una personalità importante e la coppia di chitarristi, formata da Gaz Birch e Ian Lynan, mette in piedi riff penetranti.
E così pezzi come l'opener “City Sights”, intensa e corposa, ed il groove energico di “Here We Go Again”, possono scoppiare dalle casse con un sound ricco di adrenalina, anche grazie al basso puntuale e preciso di Ricky Moss.
Certo, bisogna dire che qualche pezzo scivola via un po' più timidamente, ma sempre rilasciando una buona dose di carica. La melodica “ Lady Of The Night” pecca un po' di personalità ed il tocco alternative di “Born To Fly” stona un po', ma la varietà della tracklist è anche il punto di forza di questo lavoro. Come il mood spensierato e canticchiabile della title-track, la successiva “Listen To Your Heart”, ballatona melodica e la più selvaggia “Bad Boys”, che punta dritta agli anni Ottanta.
Manca però qualche brano davvero da 10 e lode, capace di esaltare del tutto, anche se a dire il vero le atmosfere ottantiane di “Never Again”, messe in chiusura, non sono affatto male.
Probabilmente gli Heaven’s Reign non verranno ricordati nei prossimi decenni per questo disco d'esordio, ma “Northern Lights” è certamente un lavoro capace di trasmettere energia e di mostrare anche una buona varietà di soluzioni.

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4.0
Opinione inserita da Celestial Dream    25 Febbraio, 2025
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Siete a corto di power metal melodico, rapido e scintillante, nel classico stile nordico? Ecco tornare i tanto attesi Majestica, creazione musicale di Tommy Johansson che dopo aver pubblicato alcuni lavori a nome ReinXeed ed essere entrato in formazione nei Sabaton, per una manciata di release, si è potuto concentrare sulla propria band. Il sound di questo “Power Train” si rifà a ciò che si era ascoltato nei lavori precedenti con sfuriate di power metal splendente che scorre per lo più rapido contando sull'ugola squillante dello stesso leader della band che da sfoggio anche del suo estro alle chitarre con assoli ben assestati.
L'opener “Power Train” segue queste caratteristiche senza forse brillare eccessivamente, ma è già con la spensierata “No Pain, No Gain” che il disco comincia a mostrare il meglio di sé. Un bel crescendo apre la via ad un refrain a mò di filastrocca che molto probabilmente vi ritroverete a canticchiare. La grintosa “Battle Cry” alterna cori possenti all'ugola tagliente di Tommy con passaggi di tastiere rhapsodiani, mentre il metallico midtempo “Megatrue” colpisce con decisione e sembra voler omaggiare gli Hammerfall. E se le power-song “My Epic Dragon” e “Thunder Power” svolgono il loro lavoro con sapienza è con “A Story In The Night” che troviamo la vera hit del disco, un pezzo straripante degno dei grandi Stratovarius. E la successiva “Go Higher” non è molto da meno, anch'essa spinta da atmosfere scandinave e coinvolgenti melodie, formando un gran bel duetto con “Victorius”, pezzo che conquista con ariose linee vocali. Si pesta forte, anzi fortissimo infine con la conclusiva “Alliance Anthem” altro pezzo da novanta che sembra lanciare un'occhiatina a mister Timo Tolkki e a brani come “Legions” dall'intramontabile disco “Visions”.
Un disco che conferma i Majestica tra le migliori realtà melodic power metal degli ultimi anni anche se in “Power Train” abbiamo preferito la seconda metà della tracklist, più classica e in linea con la scena di fine anni Novanta, rispetto a qualche accenno più attuale presente nella prima parte.

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Opinione inserita da Celestial Dream    20 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 2025
Top 10 opinionisti  -  

Li avevamo trovati nel 2019 e poi subito l'anno successivo con due dischi niente male. Sono i Trishula e suonano un AOR&melodic hard rock elegante mettendo assieme alcuni musicisti dal curriculum importante. Neil Fraser chitarrista e songwriter che ha lavorato anche nei TEN, e poi Ged Rylands (Tyketto) e Tony Mills (TNT, SHY). Ora la band, per questa quarta release, ha nuovi elementi in formazione, ma dimostra ancora una certa capacità nel creare melodie calde, intense e romantiche come si può intuire facilmente dall'opener “Wardance (Long live the rising)”. La chitarra di Neil è limpida e disegna parti soliste melodiche che fanno presto breccia. Su di essa si muovono poi gli altri strumenti e la voce pulita ed angelica di Jason Morgan. Difficile trovare difetti ad un disco del genere, se non che forse manca quel brano capace di restare fisso in mente. Tutto fila via liscio, con estrema classe nei ritmi controllati di “Will heaven ever give us what we need”, dove coretti ruffiani giocano un ruolo fondamentale, e la più rocciosa “The walls of Eden” mantiene sempre un flavour melodico non indifferente.
Però della ballata “When I gave you everything” (sì, non si risparmiano nei titoli dei brani!) non resta tantissimo, meglio il tocco classico dagli istinti blues di “You’re my detonation” e l'ariosa e spensierata “Here comes the night” e ancor più fa il suo effetto la sognante ballata finale, intitolata “Hold my hand”.
“Becoming The Enemy” è il classico bel disco di melodic hard rock del quale probabilmente a fine anno ci dimenticheremo, perchè lasciare un segno indelebile di questi tempi e all'interno di questo genere non è affatto facile. Ma l'ascolto è sicuramente piacevole!

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Opinione inserita da Celestial Dream    20 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 2025
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Arriviamo in colpevole ritardo con i Demon Bitch, band che a fine Novembre scorso ha rilasciato un disco interessante per gli amanti delle sonorità heavy metal classiche. Ci si muove nell'underground con questo “Master Of The Games”, proprio perchè l'approccio di questo disco sembra proprio voler indirizzarsi verso un pubblico di nicchia. Non è un disco facile, vuoi per le composizioni, vuoi per la voce squillante di uno scatenato Logon Saton (White Magician) e neppure se consideriamo la produzione, molte miglia di distanza dalle classiche registrazioni pulite che vanno per lo più negli ultimi tempi.
Ma i Demon Bitch hanno da dire la loro. Lo fanno con atmosfere oscure, grezze, epiche e brani dalle influenze old-school che colpiscono con decisione. Dopo un'introduzione di quasi due minuti parte la fulminea “The Quickening” che scorre sulle prorompenti chitarre suonate dall'occoppiata Lord Mars - Solon Saton mentre il midtempo epico “Master Of The Games” è altamente coinvolgente. In generale il gruppo predilige puntare su pezzi sanguigni, dai ritmi sostenuti come dimostrano “Not of the Cruciform” e “Protector and the Horse”, forgiati sempre su chitarre estroverse. L'act americano di Detroit ha grinta e dedizione da vendere e un brano come “Sentinel at the Spire” è pronto a dimostrarlo. Linee vocali coinvolgenti e chitarre che costruiscono un buon muro sonoro, scorrendo vivaci e creando buone armonie. Certo non tutto è perfetto in questo disco ma la sensazione è proprio quella che tutto sia composto con enorme passione, la stessa che dovrebbe avere chi si mette all'ascolto di questo “Master Of The Games”, vero disco di culto.

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Opinione inserita da Celestial Dream    09 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 09 Febbraio, 2025
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Un terremoto dall'Ucraina pronto ad abbattersi con vigore non appena si deciderà di pigiare sul tasto 'play'. Con i Jinjer, e chi altro sennò? La band balzata alle cronache anche per i fatti che purtroppo hanno colpito il loro paese di origine, torna con un disco aggressivo e muscoloso dove chitarre massacranti colpiscono accompagnando le voci growl con quella soave, femminile, della brava Tatiana Shmayluk.
Il quinto capitolo della discografia della band non ammette prigionieri e già in partenza fa piazza pulita grazie alla decisione con la quale vengono sganciate le massicce “Tantrum” e “Hedonist”. Ma la band mostra il suo meglio probabilmente attraverso la marcia killer di “Tumbleweed”, in un mix ideale tra la durezza degli Arch Enemy ed il tocco gotico moderno degli Epica. E sono proprio sonorità goth alla Lacuna Coil ad accompagnare l'intensa “Kafka” e la più melodica “Green Serpent”, dove l'ugola splendente di Tatiana risplende, anche se i passaggi possenti con la voce oscura e brutale non si fanno mancare. E bisogna riconoscere che, in quest'ultimo pezzo, il finale con il basso di Eugene Abdukhanov a duettare con la cantante ucraina è una chicca non da tutti. La cruda e rabbiosa “Dark Bile” lascia solo pochi attimi di luce prima di tuffarsi nel buio più profondo fatto da riff terremotanti, ed il death metal impenetrabile della successiva “Fast Draw” tira fuori tutto l'odio più profondo. Cattiveria che si conferma con l'aggressiva e ruvida “A Tongue So Sly”, brano da headbanging puro che ci porta fino al finale con la progressiva titletrack, dove il basso tuonante è ancora protagonista.
Metalcore, groove metal ed un tocco progressivo; i Jinjer eseguono il loro lavoro con eccelsa dedizione e precisione regalando ai propri fans un nuovo capitolo di intensa rabbia e melodia!

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Opinione inserita da Celestial Dream    09 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 09 Febbraio, 2025
Top 10 opinionisti  -  

Metal melodico dal forte impatto sonoro e dalle chiare influenze alternative e modern; i Days Of Jupiter arrivano al loro quinto disco (il precedente intitolato "Panoptical" ha visto la luce nel 2018) dopo quattordici anni di carriera alle spalle.
Un disco ricco di adrenalina già a partire dall'opener “Original Sin”, che mette in mostra buona parte delle frecce nell'arco dei nostri: chitarrone pesanti ad aprire il pezzo, seguite da melodie canticchiabili con qualche coretto e l'ugola perfetta del bravo cantante, e poi qualche effetto speciale con orchestrazioni e arrangiamenti futuristici. Niente male, anche se l'unica pecca potrebbe essere un pizzico di personalità, che a tratti va a mancare. Ma un punto forte di questo disco è la buona varietà lungo la tracklist; le chitarre di “The World Was Never Enough” sono ancora possenti e bombastiche, ma le melodie vocali rimangono ruffiane soprattutto durante il refrain, mentre i ritmi più scoppiettanti di “Machine” mostrano una voce più incisiva e ruvida. Ma ciò che abbiamo apprezzato maggiormente sono la lenta “Desolation” che mette in risalto l'ugola espressiva davvero capace e notevole di Jan Hilli e poi le atmosfere grige e tetre del midtempo ruvido, ma altamente melodico di “The Fix”. Le atmosfere gotiche e alternative fanno di “My Heaven My Hell” un pezzo intrigante, mentre la cupa “Denial” ci accompagna fino alla martellante “Invincible” che chiude l'ascolto.
Una produzione limpida e bombastica è d'obbligo quando si tratta di muoversi tra queste sonorità. E i Days Of Jupiter ne fanno buon uso, assieme a delle buone composizioni, possenti ed accattivanti così da trovare un sound davvero esaltante. Un mix esemplare di potenza, melodia e modernità!

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Opinione inserita da Celestial Dream    08 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 09 Febbraio, 2025
Top 10 opinionisti  -  

Ne sentivamo onestamente la mancanza e allora eccoli qui i divertenti, spassosi e appassionanti The Nightflight Orchestra, a quattro anni di distanza dal bellissimo "Aeromantic II". Il progetto Aor-pop-rock che prende ispirazione dagli anni settanta, e nato dalla visione del duo dei più estremi Soilwork, formato da Björn Strid e dal compianto David Andersson.
Il successo crescente, e non solo in patria, con milioni di visualizzazioni nei vari canali social e i vari show in giro per il mondo, hanno fatto crescere le attese verso questa band che torna con “Give Us The Moon”, con uno status ormai consolidato ed un disco che non si discosta molto dalle precedenti releases. Brani che conquistano con il solito appeal melodico e coinvolgente. Dopo una breve intro, si decolla, non tanto dalla più compatta opener “Stratus”, ma andando avanti con l'ascolto grazie alla brillante “Shooting Velvet”, all'impatto spassoso della ballabile “Like The Beating Of A Heart” e della scintillante “Melbourne, May I?”, qui con chitarre più vibranti. Le tastiere scoppiettanti si muovono con estro durante l'anthem “Paloma”, tutto da cantare, seguita a ruota dalla scintillante “Cosmic Tide” con un sound retrò che è ciò che rende unica questa band. E sulla stessa via, tra note sci-fi, arriva la stellare titletrack. Atmosfere da soundtrack ispirano “Runaways”, dal flavour ottantiano, mentre sintetizzatori imponenti guidano la via e si esaltano durante i quasi otto minuti dell'ultimo brano, “Stewardess, Empress, Hot Mess (And The Captain Of Pain)”,
Senza far paragoni con i dischi del passato, visto che la sensazione è che questo “Give Us The Moon” possa crescere sempre più con gli ascolti, possiamo dire che i The Night Flight Orchestra hanno fatto ancora centro. Quindi, senza pensarci troppo, salite a borde dell'aereo Aor-Svezia sulle note di queste tredici appassionate canzoni!

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Opinione inserita da Celestial Dream    03 Febbraio, 2025
Ultimo aggiornamento: 04 Febbraio, 2025
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Amanti del rock più melodico e raffinato, ci siete? Perchè se per voi il nome Blind Golem non dice nulla dovete innanzitutto preoccuparvi, perchè solamente qualche anno fa, nel 2020, la band di Verona ci aveva deliziati con un debutto davvero enorme intitolato “ A Dream Of Fantasy”.
E con questo nuovo “Wunderkammer”, uscito lo scorso Novembre, il compito è quello di bissare la qualità dell'esordio. E il risultato è eccelso. Il gruppo mostra ancora tutte le proprie influenze settantiane con brani ricchi di pathos e costruiti su chitarre decise, che fanno da solido scheletro sul quale si possono poi calare le intriganti melodie vocali cantante del bravo Andrea Vilardo e – elemento fondamentale – le tastiere e l'hammond di Simone Bistaffa. Il songwriting del leader Francesco Dalla Riva si esalta sulle note eleganti di “Some Kind Of Poet”, che omaggia i grandi Uriah Heep, band che sembra l'influenza principale ascoltando queste composizioni, così come quelli dell'esordio. “Endless Run” è un tuffo negli anni settanta con il tocco progressivo e psichedelico che esalta la sua partenza assieme ad un basso ben in evidenza a dettare i ritmi di un brano capace di far innamorare grazie ad un uso magistrale dei cori e alle meravigliose sinfonie di tastiera. Il rock più diretto ed energico esce sui ritmi più imponenti di “Man Of Many Tricks”, più alla Deep Purple, sempre colorati di linee vocali di impatto. Il prog rock deciso di “Golem!” si esalta sulla chitarra scintillante di Silvano Zago durante un'introduzione strumentale che apre la via a ritmi più scoppiettanti sui quali si stagliano le note di tastiera, formando una delle canzoni migliori della tracklist. “Just a Feeling” sembra proprio uscita da un disco classico del rock come “Demons & Wizards” dei già citati Uriah Heep e l'ascolto continua, sull'onda della qualità, con le dirette e compatte “Born Liars” e “Green Eyes”, fino alla chiusura con la strumentale “Golem Repise Entering The Wunderkammer”.
Si può suonare al giorno d'oggi come negli anni Settanta con un sound capace di appassionare, nonostante alcuni inevitabili riferimenti ai gruppi del passato? Sì, se la passione ed il talento viaggiano a braccetto. Blind Golem - un ode al rock (prog?!) settantiano!

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