Opinione scritta da Ninni Cangiano
2206 risultati - visualizzati 11 - 20 | « 1 2 3 4 5 6 ... 7 221 » |
Ultimo aggiornamento: 05 Aprile, 2025
Top 10 opinionisti -
Non conoscevo gli australiani Alarum, gruppo attivo niente meno che dal lontano 1992, ma con all’attivo solamente una manciata di singoli e demo, oltre a 4 full-lengths, prima di questo “Recontinue”, uscito a novembre 2024, ma arrivatoci in redazione solo nel mese di marzo di quest’anno. Nella bio di presentazione si parlava di paragoni con Atheist, Cynic e Death ed è proprio con quest’ultima band, almeno stando alla prima canzone “Imperative” (dopo la consueta ed immancabile intro), il paragone più calzante soprattutto per lo stile canoro del bassista Mark Palfreyman che si ispira palesemente al mai troppo compianto Chuck Schuldiner; andando avanti con gli ascolti dei vari pezzi della tracklist, si potrà notare come il vocalist ogni tanto tenda ad esagerare con il growling, rischiando quasi di diventare fastidioso. Musicalmente, invece, se il paragone con i Death di “Human” ed “Individual thought patterns” ci può stare, è evidente che la band australiana trae ispirazione dai Cynic, mescolando il suo thrash ai confini col death, con elementi di fusion e jazz, il che rende l’ascolto sempre gradevole, con sorprese che si affacciano in ogni brano. Obiettivamente, la musica degli Alarum è sempre varia, mai monotona, grazie anche a continui cambi di tempo e ad un utilizzo sapiente e frequente delle tastiere; non entriamo nel discorso meramente tecnico, perché qui abbiamo a che fare con dei veri e propri maestri dei propri strumenti (Palfreyman al basso è mostruoso!), di fronte ai quali bisogna solo rimanere in religioso silenzio, contemplazione ed ammirazione. Ma, torno a dirlo, se la parte strumentale è semplicemente eccezionale, altrettanto non si può dire per le parti vocali; Palfreyman è solo una copia sbiadita di Schuldiner e ritengo anzi che un cantante dallo stile completamente differente (non è obbligatorio usare sempre e solo il growling!) avrebbe potuto giovare ampiamente alla riuscita di questo disco (come accade in "Zero nine thirty", non a caso tra i pezzi migliori del disco!). “Recontinue” è composto da 11 tracce per una durata totale di quasi ¾ d’ora; abbiamo avuto il piacere di ascoltare un disco di ottima qualità, che poteva essere ancora migliore se solo si fosse un po’ diversificato il cantato; ciò non toglie che il talento degli Alarum è smisurato e sorprende come una band di simile qualità debba ricorrere all’autoproduzione, mentre le labels in tutto il mondo ci continuano a sommergere di immondizie musicali…
Top 10 opinionisti -
Che gli Helloween si fossero trasformati in una sorta di macchina per far soldi era abbastanza evidente dopo la reunion, i lunghi tour, gli innumerevoli live albums, singoli e compilations varie. Mancava effettivamente una compilation fiume che riprendesse tutta la carriera della band tedesca dagli albori ai giorni nostri e, per festeggiare il quarantennale di attività, ecco arrivare “March of time – The best of 40 years”, compilation di ben 42 tracce, divisa tra un triplo-cd, oppure su una deluxe limited-edition in cinque vinili di colore rosso, o nell’immancabile versione digitale. Si tratta di 42 canzoni composte dagli Helloween nel corso della loro storia, rimasterizzate per l’occasione da Sascha “Busy” Bühren (lo stesso ingegnere del suono dell’ultimo album da studio) ma, per il resto, letteralmente identiche agli originali. Troverete quindi brani dai primi storici e meravigliosi album (l’era-Hansen ed i primi due Keeper), altri dai tanto discussi successori (personalmente mai apprezzati), fino ad arrivare ai brani dell’epoca-Deris, per chiudere con i brani più recenti dell’ultimo album dopo la tanto acclamata reunion con Hansen e Kiske. Ecco quindi che, se ancora non conoscete bene gli Helloween (gravissima mancanza per qualsiasi metalhead!), questo disco può essere un buon modo per approcciarsi alla band che ha sostanzialmente inventato il power metal e ha scritto pagine indelebili della nostra amata musica metal con dischi meravigliosi come i primi due Keeper che hanno influenzato miriadi di gruppi venuti dopo. Se, invece, come il sottoscritto conoscete a menadito la storia di questo gruppo ed avete già nella vostra collezione i dischi originali (magari evitando come la peste i due successivi all’uscita di Kai Hansen e precedenti all’arrivo di Andi Deris), i vostri soldini sarebbe utile dirottarli altrove, a meno che non siate collezionisti compulsivi e non volete farvi mancare nemmeno un’uscita targata Helloween. Se, insomma, guardiamo la qualità dei pezzi proposti, è indubbio che questo “March of time – The best of 40 years” merita considerazione; ma, considerando la mera operazione commerciale, ecco che sarebbe meglio non esprimersi per non dire cattiverie…. Me la cavo con una sufficienza e lascio a voi decidere se si debba premiare la qualità della musica (qui indubbiamente alta) o punire la pessima speculazione commerciale che c’è dietro a questa ennesima compilation.
Top 10 opinionisti -
I Midnight Vice arrivano dagli USA e fanno parte della scena underground della NWOTHM (New Wave Of Traditional Heavy Metal) di Tampa in Florida; formatisi nel 2020, rilasciano il loro primo disco, con questo lavoro omonimo, inizialmente uscito nel luglio 2023 come autoproduzione e successivamente pubblicato, con l’aggiunta di una traccia (la settima), dalla label greca ROAR/Rock of Angels in questo mese di marzo 2025. Il disco è composto da 7 pezzi per la durata totale di 28 minuti esatti, a voi la scelta se definirlo un LP breve o, come indicato su metal-archives.com, un EP… forse sarebbe più calzante definirlo un mini-LP, definizione che ultimamente è alquanto caduta in disuso. Ma veniamo alla musica. I Midnight Vice si ispirano all’heavy metal degli anni ’80, con forti iniezioni di speed metal; ecco quindi che i richiami a certa discografia dei Judas Priest sono abbastanza evidenti. Ma le fonti di ispirazione del quartetto americano non finiscono lì, dato che sicuramente dobbiamo annoverare anche altri mostri sacri dell’heavy metal come Iron Maiden e Savatage, non a caso è stata scelta come ultima traccia una cover tratta dal meraviglioso “Hall of the Mountain King” della band dei fratelli Oliva. Gli ascolti di questo disco sono sempre stati gradevoli, grazie anche ad una buona registrazione che, contrariamente a quanto spesso accade con gruppi del genere, non è old-style ma al passo coi tempi. Lo strumento principale è naturalmente la chitarra elettrica del buon Sam Bean, ottimamente supportata dalla batteria di Dennis O’Sullivan che impone spesso ritmi frizzanti e veloci; il basso di Lakota Stafford fa la sua parte (anche se alquanto in sottofondo), mentre il cantante Tyler Gray non dispiace affatto, grazie ad un’ugola potente ed acuta, che ricorda non poco Olof Wikstrand degli svedesi Enforcer (altro gruppo che potrebbe essere chiamato in causa come termine di paragone). Se cercate originalità ed innovazione a tutti i costi, questi Midnight Vice ed il loro disco omonimo non fanno al caso vostro; se invece non rientrate in questa categoria e vi piace il buon vecchio heavy metal con robuste iniezioni di speed, ecco che potreste apprezzare questo lavoro.
Top 10 opinionisti -
Devo ammetterlo, ero impaziente di ascoltare questo “Nemeya”, quarto album dei friulani Corte Di Lunas. Ero impaziente perché speravo di trovare un disco degno di “Lady of the lake”, quel meraviglioso full-length uscito nel 2014 che mi aveva fatto innamorare di questa band; mi sono trovato, invece, un disco che segue ed esalta il percorso musicale intrapreso con il suo predecessore (“Tales from the brave lands” del 2020), con un distacco notevole dal metal e la grande assenza della chitarra elettrica. Quel che resta oggi è una band che fa del puro folk il proprio manifesto e la propria proposta musicale, con il flauto della bravissima Maria Teresa quale strumento principale; a poco vale la presenza nella decima traccia di Giacomo Voli (10 minuti di vergogna per chi non conosce questo mostro sacro della musica metal italiana e mondiale!), perché obiettivamente di metal in questo disco sostanzialmente non c’è niente o quasi… giusto qualche riff di chitarra in sottofondo da parte di Nicolas, mai protagonista, nemmeno quando usa l’acustica, ma sempre comprimario degli altri strumenti della tradizione folk; c’è anche qualche rullata di batteria qua e là dello storico Riccardo, che sembra quasi limitarsi allo svolgere il suo compitino, senza eccellere particolarmente. Il secondo problema, infatti, oltre all’assenza totale della chitarra elettrica, è sostanzialmente nel ritmo che è sempre troppo blando, proprio a causa dello spazio limitato che viene concesso alla batteria, troppo relegata al compito di accompagnamento e mai protagonista come meriterebbe; la possiamo apprezzare solamente in pochi brani, come “A new shape” (che faceva ben sperare posta all’inizio della tracklist…), “La polse dal ors”, “The holy wild” ed “Eagle’s nest”, ma è troppo poco, davvero troppo. Parlando dei testi, questi sono cantati in inglese o in dialetto friulano, scelto come idioma degli spiriti della foresta di Nemeya; sempre ottima la performance di Giordana, ormai cantante notevole; con lei ci sono poi una serie di ospiti in alcuni brani, fra cui (oltre al già citato Giacomo Voli, tra l’altro in un pezzo che non esalta le sue qualità canore e nel quale quasi quasi nemmeno si nota) bisogna ricordare Anna Murphy degli svizzeri Cellar Darling. Dispiace dirlo, ma sono rimasto molto deluso dal percorso artistico intrapreso dai Corte Di Lunas, sempre più folk e sempre più lontani dal mondo metal, tanto che forse si poteva anche evitare di chiedere una recensione ad una webzine di musica metal come la nostra… è evidente, infatti, che questo “Nemeya” non è un disco per padiglioni auricolari abituati a chitarre elettriche e batteria a manetta. Sufficienza di stima, perché comunque bisogna riconoscere una buona qualità nell’esecuzione da parte dei vari componenti della band. Ora scusate, ma vado a riascoltarmi “Lady of the lake”.
Top 10 opinionisti -
Inizialmente uscito a marzo 2024 come autoproduzione e ristampato dalla sconosciuta label Valfrid Musik a fine febbraio 2025, parleremo oggi di “I am death”, EP di debutto degli svedesi Bloodstain. Il gruppo si è formato nel 2023 ed è composto da ragazzini appena diventati maggiorenni, ma già con ben chiare le intenzioni nelle loro teste! Il loro, infatti, è un thrash molto ben fatto, ispirato al sound della Bay-Area californiana, tosto e ritmato a dovere, ma anche suonato e cantato con un livello qualitativo superiore alla media. Questi giovani, infatti, non suonano solo e soltanto per sfogare in musica la loro rabbia (tipica della giovane età), ma sono già attenti alle melodie ed all’efficacia dei singoli brani. In 6 tracce per nemmeno 22 minuti di durata, i Bloodstain sono capaci di mettere in mostra una buona tecnica individuale, con le due chitarre a recitare da protagoniste, il basso che pulsa a dovere e la batteria che impone ritmi frizzanti; c’è poi la voce del chitarrista Linus Lindin che non dispiace assolutamente, essendo grintosa ma non esageratamente aggressiva, finanche espressiva, particolare raro nel thrash in genere, dove spesso ascoltiamo approcci canori solo e soltanto violenti e monotematici. Non so dove i Bloodstain potranno arrivare nel mondo del thrash, ma è indubbio che si tratta di ragazzi con talento e qualità e questo “I am death” ne è la prova; teneteli d’occhio!
Top 10 opinionisti -
Devo ammettere che non avevo mai approfondito la mia conoscenza degli statunitensi (di New York) Tower, gruppo attivo da ormai un decennio, con alle spalle due full-lengths (il debutto omonimo nel 2016 e “Shock to the system” nel 2021), oltre ad un EP e qualche singolo. L’attenta label romana Cruz del Sur Music è andata a scovare questo gruppo nell’underground e, dopo il precedente album, ha rilasciato questo ottimo “Let there be dark”, disco composto da 10 tracce (una delle quali è un breve intermezzo strumentale) per la durata totale di poco inferiore ai 40 minuti, con un artwork alquanto minimale ed old-style. Anche la registrazione è alquanto old-style e questo credo sia una precisa volontà della band, anche se non condivido questa tendenza al vintage che si sente ogni tanto. Ma cosa suonano i Tower? Il loro è un piacevole heavy metal con forti influssi epic che ricorda a tratti gli indimenticabili tedeschi Attack, con qualche richiamo al sound lisergico degli anni ’70 (la nona traccia “Don’t you say” ne è un fulgido esempio). Le due chitarre di James Danzo e Zak Penley sono gli strumenti protagonisti, ben supportati dal basso di Philippe Arman (forse un po’ troppo relegato in sottofondo) e dalla batteria dell’ottimo Keith Mikus (strumento maggiormente penalizzato dalla registrazione old-style, con quel fastidioso “effetto fustino del detersivo” sul rullante) che impone spesso e volentieri ritmi frizzanti. C’è poi la voce della carismatica Sarabeth Linden che è la vera arma vincente dei Tower, con quel suo stile così particolare ed espressivo che utilizza spesso e volentieri vocals vibrate e profonde, risultando ammaliante e certamente convincente. Le canzoni scorrono via in maniera estremamente godibile e si lasciano ascoltare molto semplicemente, grazie a strutture non particolarmente elaborate, ma sicuramente efficaci; se dovessi scegliere le mie preferite, direi così di getto la melodica (ma non troppo) “And I cry”, “Legio X Fretensis” (immagino dedicata ad una legione dell’impero romano), la frizzante e powereggiante “Iron clad” e la conclusiva “The hammer” che suggella il lavoro in maniera egregia. Concludo affermando con certezza che questo “Let there be dark” dei Tower è davvero un gran bel disco, di livello qualitativo superiore alla media e che merita ogni attenzione da parte dei fans dell’heavy metal più epico.
Top 10 opinionisti -
Mi ero imbattuto nei tedeschi Sculforge un paio d’anni fa, all’epoca del loro primo album dal titolo lunghissimo; li ritrovo in questo mese di marzo con il secondo album, ancora una volta con un titolo esagerato: “Cosmic crusade chronicles… Stories from the… errr… nevermind!”. Se però con il primo disco avevamo ben 26 tracce (per circa 70 minuti di durata), buona parte delle quali totalmente inutili, segno che la band era inesperta ed aveva semplicemente esagerato, questa volta abbiamo solo 11 canzoni per circa ¾ d’ora di durata totale. Un disco che, quindi, a parte il titolo, non ha particolari esagerazioni… almeno prima dell’ascolto… ad essere esagerato questa volta è il ritmo! Il batterista Chris Merzinsky pare abbia un motorino al posto delle gambe con cui lancia la doppia-cassa a velocità folli, quasi che la band volesse emulare i Dragonforce. Fa eccezione la sola “Edge of the universe”, ballad romantica, in cui compare il piano (credo suonato sempre da Merzinsky) e che fa tirare il fiato quasi a metà della tracklist. Il resto sono canzoni che si assomigliano bene o male tutte tra loro, con le chitarre a suonare scale velocissime in profusione, il basso del nuovo entrato Felix “The Kerninator” Kern un po’ troppo in sottofondo o, comunque, in secondo piano ed appunto, come detto, la batteria lanciata a mille all’ora. C’è poi il cantante Polly McSculwood che ha migliorato notevolmente la sua performance rispetto al passato, soprattutto per espressività e capacità interpretativa, pur rimanendo con un’ugola non particolarmente eccelsa. Ho ascoltato e riascoltato più volte questo disco, senza che mi lasciasse granché; a parte la citata ballad, infatti, le altre canzoni scorrono via senza infamia e senza lode, si lasciano ascoltare gradevolmente (a patto di essere fan di certo tipo di power metal ultra-veloce), ma non hanno quello spunto che possa distinguerle da quanto fatto in passato da tanti altri gruppi. Se amate i Dragonforce ed, in genere, questa particolare tipologia di power metal sparato a velocità elevate, allora anche questo nuovo disco degli Sculforge dal titolo lunghissimo potrà fare al caso vostro; in caso contrario c’è obiettivamente di meglio in giro. Sufficienza di stima, assegnata anche per gli evidenti miglioramenti rispetto al passato.
Top 10 opinionisti -
Gli Stainless arrivano da Portland in Oregon, dove si sono formati nel 2022. Questo “Nocturnal racer” è il loro EP di debutto, dotato di artwork alquanto discutibile, composto da sole 4 canzoni per poco più di ¼ d’ora di heavy/speed metal palesemente ispirato agli anni ’80. Già perché la band capitanata dall’affascinante ed aggressiva Larissa Cavacece strizza l’occhio alle sonorità della NWOBHM, ma senza dimenticare la lezione dell’hard rock e dello US-Metal. Nei testi, come spiegato dalla stessa band, si parla di “sesso, serpenti, motociclette, auto veloci, rock’n’roll, perseveranza, cattiveria ed heavy metal”, mentre la musica vede la chitarra dell’ottimo Jamie Byrum come strumento principale che macina riff ed assoli, con la batteria di Joe Sugar (nel frattempo uscito dalla band e sostituito da Terrica Jean Kleinknecht) che impone ritmi sempre veloci, come il buon vecchio speed metal richiede. La voce della Cavacece è ruvida e grintosa e lascia poco spazio alla melodia e non si perde in inutili gorgheggi o virtuosismi vari. La registrazione non è di quelle vintage (come purtroppo spesso accade in questo specifico settore), ma ben fatta ed al passo coi tempi, anche se avrei preferito più spazio per il basso di Mira Sonnleitner, che risulta un po’ troppo sacrificato in secondo piano. 4 canzoni sono pochine per un giudizio definitivo sul gruppo, soprattutto considerando che (come lezione dello speed metal impone) sono tutte di breve durata; la sola conclusiva “The evil lies” sfiora i 5 minuti e, tra l’altro, è quella più lenta e vicina all’hard rock. In questo poco tempo, ho comunque potuto apprezzare una band che bada al sodo, che ha energia in quantità e la traspone ottimamente nella propria musica; se amate le sonorità più “old-style” e lo speed metal, questo “Nocturnal racer” degli Stainless può sicuramente fare al caso vostro! Tenete d’occhio questa band, perché sono sicuro saprà fare ancora di meglio in futuro.
Top 10 opinionisti -
Tornano a farsi sentire dopo diversi anni i piacentini Dark Horizon, con il loro sesto album da studio, intitolato “9 ways to salvation”, il primo senza lo storico cantante Roberto Quassolo. E’ anche l’album che vede il rientro dello storico batterista Marco Pelledri (uscito oltre 20 anni fa dopo il debut album “Son of Gods” del 2001) ma, inutile negarlo, la novità è principalmente il singer Giulio Garghentini, dotato di ugola differente ed, a quanto pare, anche più acuta del suo predecessore; per chi, come il sottoscritto, è affezionato al vecchio sound dei Dark Horizon, questa novità può anche essere difficile da accettare, ma è solare che il nuovo arrivato ha talento da vendere. Ciò che però mi ha sorpreso maggiormente è una sorta di scarsa compattezza nel songwriting, quasi che ci fossero due anime contrapposte all’interno del gruppo ad occuparsi della stesura dei pezzi: da un lato una parte più melodica e dai ritmi blandi, dall’altra un’anima più power, più energica, in cui la batteria ha ritmi brillanti e frizzanti. E questo dualismo si svilupperà per tutto l’album, con brani come “Crazy”, “Waiting”, “The spy” e “Nobody’s home” tosti e ricchi di energia; mentre, di contro, ci sono canzoni come “Parasite” (non condivido la scelta di realizzare un lyric video di questo brano, dato che ce ne sono altri molto migliori), la splendida “I won’t let you down”, “Redemption of tomorrow” (forse la meno ispirata della tracklist, quasi hard-rockeggiante), la ballad “Our star is born” e “The theater of appearance” (un po’ troppo ripetitiva) che hanno un approccio maggiormente melodico, con ritmiche lente ed un incedere alquanto poco power metal. Discorso a parte poi per la cover di “Precious” dei Depeche Mode, song alquanto avulsa dal contesto; diciamo che, se proprio si voleva coverizzare il gruppo di Dave Gahan e Martin Gore, si poteva scegliere qualcosa di più duro (“Blasphemous rumors”, “People are people”, ecc.). “9 ways to salvation” è quindi un album in cui coesistono anime differenti e, nelle sue 9 tracce originali (+ la cover), si dipana per 42 minuti esatti in maniera sicuramente elegante e piacevole da ascoltare; personalmente avrei preferito meno canzoni lente ed un approccio più tosto e più power metal, ma si tratta di gusti personali che, come sempre, sono chiaramente opinabili. Non ci troviamo davanti al miglior disco della lunga carriera dei Dark Horizon, ma comunque ad un album di buona qualità, sicuramente molto migliore delle tante immondizie musicali che ci ammorbano quotidianamente, anche nel metal!
Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 2025
Top 10 opinionisti -
Gli Ardityon nascono nel 2018 per un’idea dell’ex-batterista dei Great Master, Denis Novello; dopo un primo album omonimo uscito nel 2019, la band si dedica alla realizzazione di alcune cover, prima di iniziare nel 2022 a comporre questo nuovo album, intitolato “Trenchslayer”, uscito a fine febbraio di quest’anno. Il sound della band è un piacevole power metal, con tematiche care a gruppi come i Sabaton (si parla di guerra e, non a caso, il nome del gruppo è ispirato ad un noto reparto d’assalto dell’esercito italiano) ed un sound che ricorda vagamente i Kaledon più melodici, anche per una certa somiglianza dell’ugola del singer Valeriano De Zordo con quella del mitico Marco Palazzi. Si inizia subito bene con “Subhuman world”, canzone power ricca di energia e rabbia, tanto che viene da dire “Finalmente un disco senza inutili intro e che va dritto al sodo!”. Si prosegue sulla stessa scia con “Everything is lost” (scelta per un video) e con “Spirit of fire”, mentre è con “The livestock” che si affaccia qualche contaminazione thrash che rende il sound più grezzo. “Toxic show” torna a ricordare i Kaledon, soprattutto quelli più recenti (gli ultimi due album, per capirci), a cui segue la title-track, altra canzone bella tosta. Sulla stessa scia si proseguirà fino alla fine (fatta eccezione per la romantica ballad conclusiva "I'm with you", in cui si ascolta anche il pianoforte), per un full-length che fa della compattezza una delle sue armi vincenti, tanto che è stato sempre un piacere ascoltarlo e riascoltarlo per questa recensione. Andrea Colusso con la chitarra fa un gran lavoro, mentre il leader Novello si conferma batterista di qualità superiore alla media, imponendo ritmi sempre brillanti ed energia a profusione. Sul cantante non c’è molto da aggiungere, la sua espressività e versatilità sono decisamente evidenti e contribuisce non poco all’ottima riuscita dei pezzi che sono sempre convincenti e coinvolgenti. Difficile trovare difetti in questo “Trenchslayer” ma, del resto, è rilasciato dalla Underground Symphony, una label che da sempre è una garanzia e sinonimo di qualità fuori dal comune nel power metal. Segnatevi il nome degli Ardityon perché sono sicuro che sapranno ancora regalarci album di ottima qualità come questo!
2206 risultati - visualizzati 11 - 20 | « 1 2 3 4 5 6 ... 7 221 » |