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Opinione scritta da Davide Collavini

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Opinione inserita da Davide Collavini    10 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 2024
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Comincerei con il presentare chi sono gli Hell Riders, band italo-svizzera creata da Davide Girardi e Riccardo Marcassa a Porlezza, in provincia di Como, con l'obiettivo di scrivere brani propri di stampo Heavy Metal. “Rising Phoenix” è il secondo album della band uscito a maggio 2024. L’album è strutturato principalmente su un Heavy Metal classico, con alcune influenze Progressive e Thrash Metal. Il songwriting esplora una varietà di tematiche, tra cui amore, perdita, rabbia, frustrazione, speranza e rinascita. Nei brani troviamo riff potenti ed energici, assoli di chitarra veramente coinvolgenti, ma anche sonorità malinconiche. L’album si apre con “Moon Trucker”, energia e riff di chitarra potenti e una sezione ritmica solida la fanno da padrone: si inizia molto bene. Passiamo a “Cyber Machine”, un brano più cupo e atmosferico con influenze Progressive Metal. “Cartomancer”, ritmo incalzante e un assolo di chitarra coinvolgente dalla grande tecnica. “Ritual of Scales”, un brano epico con un'atmosfera oscura e mistica. “Rising Phoenix”, la title-track dell'album, un inno alla rinascita con un messaggio di speranza e forza. “101813800" è un brano dal ritmo ben calzante e con un'atmosfera inquietante e surreale, belli gli acuti del nostro Davide e vari assoli ben realizzati. Si accelera con “Armageddon”, brano potente e aggressivo che evoca immagini di distruzione e caos. L’album si conclude con altri due brani "Valley of the Stones" e "Tell Me the World", con il primo che ci porta su atmosfere più malinconiche e riflessive, mentre il secondo è una sorta di ballad, con degli assoli veramente molto belli e un ritornello azzeccato. L’album non è niente male, scritto e prodotto bene, diciamo che ho apprezzato molto la bravura tecnica della band, anche sotto il profilo canoro Davide Girardi ha una buona tecnica, per alcune canzoni però forse più grinta o “cattiveria” nel cantare non avrebbe guastato (tipo in "Ritual of Scale"). Inezie comunque. In conclusione un album ben riuscito, consigliato a tutti coloro che amano lo stile Heavy Metal classico. Bello anche l’artwork, ricorda un singolo di una famosa band Heavy Metal…

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Opinione inserita da Davide Collavini    09 Luglio, 2024
Ultimo aggiornamento: 09 Luglio, 2024
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Decimo album per i Dream Evil: "Metal Gods"! Un disco che ci porta in un sound energico e diretto, un Heavy Metal classico ma pieno di particolarità contemporanee. L'album è pieno di riff memorabili e assoli potenti, che si intrecciano con la voce grintosa di Niklas Isfeldt. "Metal Gods", la title-track, è un'esplosione di energia pura, con un riff memorabile e un coro potente. "Chosen Force" è un brano più mid-tempo, con atmosfere epiche, parla di come superare le avversità e raggiungere i propri obiettivi. "The Tyrant Dies at Dawn" è potente ed aggressiva, con un riff pesante e un assolo di chitarra frenetico. "Lightning Strikes" è veloce ed adrenalinica, con un riff contagioso e un coro energico. "Fight in the Night" è un'altra traccia potente con un groove irresistibile e un assolo di chitarra melodico. "Masters of Arms" è invece più lenta ed atmosferica, con un testo profondo e significativo. "Born In Hell" ha un riff diabolico ed un coro potente, è un'ode alla ribellione e all'individualismo. "Insane" è un pezzo frenetico e caotico, con un riff Thrash Metal ed un assolo di chitarra urlante. "Night Stalker", brano oscuro ed atmosferico, con un riff inquietante e un testo criptico. Chiude l'album l'acustica e malinconica "Y.A.N.A." (che significa "You're All Alone"), che parla della solitudine e dell'isolamento. "Metal Gods" vanta anche la partecipazione di alcuni ospiti speciali, tra cui Jonathan Thorpenberg (The Unguided), Tommy Johansson (ex-Sabaton) e Chris Amott (ex-Arch Enemy, Dark Tranquillity). La produzione di Fredrik Nordström è impeccabile, dando all'album un suono potente e moderno. Un disco per i fans del Metal classico, ma anche per chi ama assoli di chitarra magistrali e riff granitici, "Metal Gods" è un disco da non perdere. I Dream Evil dimostrano di essere in ottima forma e questo album è un concentrato di energia e passione. Consigliato anche a coloro meno esperti del genere, visto che ha qualcosa da offrire a tutti gli amanti della musica Metal/Hard Rock in generale. In conclusione, anche non offrendo nulla di nuovo al genere, “Metal Gods” rimane uno di quei dischi che sicuramente non cadranno nel dimenticatoio dopo qualche ascolto.

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Opinione inserita da Davide Collavini    02 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

I thrash metallers neozelandesi Just One Fix hanno pubblicato il loro nuovo EP "Submit or Death" il 10 maggio 2024. Composto da sei nuove canzoni, questo nuovo EP è il primo lavoro in studio degli Just One Fix da "Let Them Hate... So Long As They Fear" del 2014 e la prima con la partecipazione del nuovo batterista Ross Curtain (ex-Enoch & Silent Torture). Questo EP è fatto veramente molto bene, sano e puro Thrash Metal per chi come me ama il Thrash anni '80 e '90. Riff granitici e stridenti, rullate energiche alla batteria e linee di basso sempre potenti e ben realizzate. Anche la voce di Riccardo Ball risulta potente, rabbiosa, con una grinta coinvolgente. Voce che risulta perfetta con la musica del gruppo. La tipica voce del singer Metal che personalmente preferisco. L’EP inizia con l'intro “Submission & Transition”, con linee di chitarra melodiche che ci accompagnano alla successiva “Gods & Devils”. Un’onda sonora formata da batteria, chitarra e grinta che ci colpisce con un'energia travolgente. Neanche il tempo di riprendere il fiato e “Warzone” continua il ritmo con riff granitici, energia e potenza! Ottima la grinta di Ball, rabbioso e cattivo, ma mai fuori contesto. “Thorns” ci travolge con riff prepotenti di chiara ispirazione Metallica old style. Il riff centrale è chiaramente ispirato a "Master of Puppets". Anche “Hades Rising” ci delizia con sonorità anni '80 con chiara ispirazione dai mitici Slayer. Anche qui la parte migliore sono i taglienti e granitici riff che ci accompagnano per tutta la canzone. Cosa dire di questo EP? Che è troppo corto! Perché non inserire almeno un altro paio di canzoni e farne un album? Le tracce sono strepitose! Energia pura e coinvolgente, da ascoltare più e più volte senza mai annoiarsi. Realizzato bene, registrato anche, l’ispirazione a bands storiche non risulta un copia e incolla a sé stante, ma anzi ha contribuito alla realizzazione di un prodotto valido e di ottima qualità.
Consigliato agli amanti Thrash Metal anni '80, Metallica, Slayer, Testament.

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Opinione inserita da Davide Collavini    24 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 24 Mag, 2024
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Con il loro terzo album "Maze of the Mind", i thrashers tedeschi Battlecreek fondono abilmente il suono distinto del Thrash Metal tedesco con le influenze della Bay Area, portandolo vibratamente nell'era attuale. Da quando si sono formati nel 2004, i bavaresi si sono attivamente ritagliati un nome nella scena Metal nazionale, portando alla loro presenza nel documentario "Total Thrash" come rappresentanti della New Wave of German Thrash Metal. L'album, registrato e prodotto ai 48Nord Studios da Chris Schmid, include "Granville's Hammer" con Philly Byrne dei Gama Bomb come ospite e artwork di Andreas Marschall. "Maze of the Mind" mette in mostra l'entusiasmo sfrenato della band per la propria arte e suggerisce la loro capacità di portare questa energia nelle esibizioni dal vivo. La produzione dell'album è pulita e ben definita, senza compromettere la potenza e l’energia. Il suono del gruppo è fortemente ispirato al Thrash Metal degli anni '80, con influenze derivanti dal sound della Bay Area. Alcuni spunti melodici si fanno molto apprezzare, soprattutto negli intro e negli intermezzi acustici. Il risultato è un Thrash nervoso e “pulito”, lontano dalle eccessive brutalità di alcune bands del genere. L'unica cosa che mi ha lasciato un po' perplesso è lo stile del cantante. Berne usa una tecnica molto rabbiosa e alquanto urlata, che va bene per alcuni pezzi ma poi risulta molto piatta e ripetitiva in tutto l’album. Senza dare quello spessore e varietà alle canzoni, differenziandole tra loro. Peccato, perché a livello tecnico troviamo un'ottima sintonia e fantasia tra gli strumenti. Comunque non è un lavoro che boccio completamente, ci sono brani che veramente meritano la giusta attenzione. Come la schietta “Knockout in the First Round” e l’aggressiva “Thou Shalt Not Kill” con elementi tipici del Thrash Metal classico. In definitiva "Maze of the Mind" è un album ben eseguito che merita almeno di essere ascoltato. Consigliato ai fans degli Exodus e Forbidden.

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Opinione inserita da Davide Collavini    10 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 11 Mag, 2024
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Ammettetelo, a sentire il nome di Sebastian Bach (nell’ambito Hard Rock ovviamente) non si può non fare a meno di associarlo agli Skid Row! Soprattutto al periodo fine anni '80 e '90, quando il Nostro contribuì a creare un capolavoro come “Slave to the Grind”, pietra miliare dell'Hard Rock/Metal. Album quest’ultimo ricco di grandi classici dove il nostro Sebastian dava il meglio di sé. Dopo gli Skid Row, abbandonati nel 1994 dopo l’album “Subhuman Race”, Sebastian Bach si diede alla carriera solista e questo che ora ci apprestiamo ad ascoltare è il suo quinto lavoro in studio. L’ultimo risale a circa dieci anni fa con "Give 'Em Hell", nel 2014. In un'intervista Bach, parlando di “Child Within The Man”, disse: "Tutto quello che posso fare è fare la musica che amo. Questo è tutto ciò che ho mai fatto e adoro davvero questo album. Provo per queste canzoni la stessa sensazione che ho provato per "18 And Life". Sento la stessa emozione. Se qualcuno si sente giù o depresso, avvia questo disco. Ti renderai conto che puoi prendere il toro per le corna". “Child Within The Man” si presenta come un album Hard Rock/Metal veramente ben fatto, bisogna ammetterlo! Già dalle prime battute con "Everybody Bleeds”, il ritmo è bello carico pimpante ed energico, con un Bach in bella forma con una voce grintosa e rabbiosa, certo non è il Bach di trent’anni fa e la tonalità vocale è ben al di sotto dell’epoca, ma riesce comunque a dare grande emozione. “Freedom” continua frenetica in un ritmo molto alla “Subhuman Race”, con assoli di chitarra taglienti. Nell’album trova anche spazio una semi-ballad come “(Hold On) To The Dream”, specialità di cui il buon nostro Bach ci ha ben abituati. Anche se non una vera e propria ballad lenta, ma un mid-tempo tosto con un SB che si spinge in virtuosismi vocali, mantenendo note basse e rabbiose. “What Do I Got To Lose?” è una delle track che preferisco dell’album, ritornello orecchiabile, ritmo lento ma aggressivo, con assoli veramente belli: una di quelle canzoni che ti rimangono in testa. Su “Hard Darkness” troviamo voce roca e rabbiosa accompagnata da una battente batteria. In “Future Of Youth” la voce si alterna al melodico/rabbioso con un buon ritmo Hard Rock che ci accompagna alla prossima traccia “Vendetta”, che si apre con riff serrati, assoli piacevoli e un ritmo molto gradevole. Traccia ben realizzata! Altre tracce degne di nota sono “F.U.”, dove possiamo apprezzare dei bellissimi assoli di Bronson, “Crucify Me” e “To Live Again”, con quest’ultima che è la ballad a chiusura dell’opera; è molto bella ed orecchiabile, fatta bene ma, secondo me, non è per questa traccia che ricorderemo l’album. In conclusione, “Child Within The Man” è un lavoro fatto veramente bene, un disco Rock/Metal che rende giustizia a questa categoria, orfana di bands degne di nota da troppo tempo. Per fortuna che ci sono ancora questi “nonnetti” che realizzano full-length come questo. Il miglior disco solista per Sebastian Bach senza ombra di dubbio! E il miglior album Rock/Metal dall'inizio dell'anno a mio parere. Acquisto consigliato ai fans ovviamente di Sebastian Bach, Skid Row, Guns n'Roses, Dirty Honey, Motley Crue.
Canzoni preferite:"Everybody Bleeds”, “Freedom”, “What Do I Got To Lose?”

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Opinione inserita da Davide Collavini    01 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 01 Mag, 2024
Top 50 Opinionisti  -  

I Vulture sono un quintetto tedesco al loro quarto album in studio con “Sentinels” tramite Metal Blade Records. "Sentinels" è composto da undici tracce di puro Thrash/Speed Metal ed è un disco divertente da ascoltare. È il loor un sound forgiato nella fossa più calda dei gironi Metal anni '80, ma adattato benissimo ai giorni nostri. Un ponte tra passato e presente realizzato con grande maestria. I brani più importanti del disco includono l'apertura "Screams from the Abattoir", "Unhallowed & Forgotten", "Realm of the Impaler" e "Death Row". Tutto l’album comunque presenta riff serratissimi, grida acute e cori incalzanti. L’unica pausa alla potenza delle canzoni incessante viene data dalla strumentale “Der Tod Trägt Schwarzes Leder” e dalla cadenzata “Sentinels (Heavier Than Time)” mid-tempo molto interessante. Voglio spendere altre due parole sulle canzoni che più mi hanno colpito. "Death Row", che inizia con un violento e folle assalto, le incredibili grida e lamenti di L. Steeler ci portano avanti con forza e gloria: è una traccia con cui è difficile non fare headbanging. "Gargoyles", inizia prima con un riff contagioso al minuto 0:25, seguito presto da un momentaneo inizio canoro; roba semplicemente epica per iniziare. Il grande riff e il cantato ritornano durante la durata intera del brano. Bellissimo! "Sentinels (Heavier Than Time)", riff sempre eccezionali, questa canzone è quello che i Vulture volevano rappresentare a mio avviso con questo disco. Maestria realizzativa e tecnica, senza tralasciare testi e doti vocali. “Sentinels” è un disco che merita sicuramente l’attenzione per tutti coloro che amano il Thrash Metal e gruppi come Razor ed Exodus; anche la produzione è realizzata in maniera magistrale, il sound è chiaro e nitido. E persino la copertina dell’album è realizzata molto bene!

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Opinione inserita da Davide Collavini    12 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 2024
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“No Need for Death” è il secondo album dei Lesson in Violence, pubblicato il 30 marzo 2024 sotto l'etichetta Iron Shield Records. La band tedesca prende il proprio nome da una canzone degli Exodus, leggendaria band di San Francisco e si ispira al Thrash Metal classico degli anni '80 e alla Bay Area. Chitarre potenti, suono autentico e aggressività palpabile. Diciamo che alla voce ci sono un po' troppe imperfezioni, ma che comunque passano in secondo piano, rendendo “No Need for Death" un album che soddisferà gli amanti del genere. Ma lasciare "No Need for Death" solo come uno spettacolare tributo a Gary Holt e al suo team sarebbe un po' troppo facile, dopotutto i Lesson in Violence pompano anche una grossa carica di Metal tedesco con una miscela aggressiva in perfetto stile Kreator. Riff granitici e possenti, il suono aggressivo, immersivo e coinvolgente. Brani come "Massive Aggressive" e "The World Is Mine" riusciranno a farsi apprezzare anche dai thrashers vecchia scuola più accaniti e in canzoni come "War Against Hypocrisy" e "Living Dead" i nostri mostrano tutto il loro talento. Come dicevo i piccoli difetti stanno nella voce, probabilmente anche perché Florian, il frontman, non è di madrelingua. Nulla di irreparabile e migliorabile sicuramente; se l’ascoltatore, invece, è uno attento a tutto, anche nella scrittura dei testi (non sempre perfetta), sicuramente non tollererà. Considerando, però, l'energia complessiva delle canzoni, i fantastici suoni di chitarra e il sound in generale ben realizzato, i piccoli difetti diventano delle sfumature che sicuramente si supereranno in un paio di ascolti più lisci. Consigliato agli amanti del Thrash duro, vecchia scuola.

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Opinione inserita da Davide Collavini    24 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 2024
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Fantastico trovarsi a una settimana di distanza l’uno dall’altro Bruce Dickinson prima e Judas Priest poi… un vero e insperato regalo per un fan del Metal più classico e storico come il sottoscritto! Direi che il 2024 è iniziato bene, Metal parlando! Quando si parla dei Judas Priest si parla di storia del Metal! Formatisi nei primi anni '70 nel Regno Unito sono tra i più longevi gruppi esistenti, hanno influenzato lo stile di molte band per svariati anni, e oggi alla bell’età di settant'anni, cinquanta di carriera e diciotto album in studio all'attivo, li ritroviamo più in forma che mai, quasi il tempo si sia fermato agli anni '80. Sono passati sei anni dall'ultimo album “Firepower” (che ottenne un discreto successo di critica) e oggi mi ritrovo a parlare appunto del diciannovesimo album in studio “Invincible Shield“. Già dalla copertina del disco partiamo bene, uno scudo possente che sprigiona energia. I colori ricordano molto le trame dei supereroi Marvel. L'album raggruppa tutta la tecnica e l'esperienza dei Judas Priest con un Rob Halford in grande ispirazione, da far dimenticare i suoi settant'anni suonati: è incredibile come riesca ad avere ancora una grinta del genere! Il disco inizia nel migliore dei modi, i Judas piazzano un uno-due-tre veramente micidiali: “Panic AttacK“, “The Serpent and the King” e “Invincible Shield“ sono qualcosa di pazzesco, velocità, riff e drumming forsennato, con assoli taglienti che fanno da cornice ad un Rob grintoso e scatenato! “Devil in Disguise” riporta il ritmo più lento ma non per questo meno pesante, i riff presenti sono una sorta di inno al Metal. “Gates of Hell” con i suoi meravigliosi assoli e riff pesanti in un'atmosfera metal anni '80 ci porta ad una vera chicca di quest’album: “Crown of Horns”, un fantastico mid-tempo con un intro di chitarra niente male e un ritornello che entra in testa e non se ne va più. ”As God is my Witness” ci riporta sul pianeta Metal con ritmi molto più veloci e un lavoro alle chitarre veramente eccellente. Eche dire della maestosa “Giants in the Sky” e di “Escape from Reality” - molto Black Sabbath style - che ci incamminano verso un finale dell’album senza errori o stranezze varie, ma con un livello molto elevato. In quest’album c’è tutto quello che ci si aspetta dai Judas Priest! Non so se sarà l’ultimo della loro lunga e gloriosa carriera, ma sicuramente la cosa che traspare ascoltando “Invincible Shield” è che sicuramente non sono morti artisticamente. Un album eccezionale, niente da aggiungere. Farà felice sicuramente chi come me ama il Metal veloce, pesante, con un songwriting fatto come si deve. Un album che ti colpisce, come potevano fare trent’anni fa! Oserei quasi dire che è l'erede legittimo di “Painkiller”, nel senso che nonostante l’età e gli anni passati, i nostri abbiano ritrovato carica ed energia dei bei tempi!

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Opinione inserita da Davide Collavini    17 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 2024
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Formatisi nel 2014, i Lutharo si sforzano di scolpire un suono epico che vede aspetti di potere e morte scontrarsi, combinando melodie, armonie e precisione realizzate ad arte con potenza e forza incisive. I metallari canadesi portano avanti la loro miscela distintiva di Heavy Metal tradizionale, Melodic Death Metal, Thrash Metal ed altro ancora nel loro ultimo lavoro, “Chasing Euphoria”, il seguito del loro album di debutto lodato dalla critica “Hiraeth”. La formula usata soprattutto nella parte vocale può non piacere a tutti, un misto di extreme voice che si mescola a forme più melodiche intervallate con maestria e senza banalità. Personalmente trovo la voce di Krista molto più interessante nelle parti melodiche rispetto a quelle extreme. L'album è ricco di contenuti interessanti sia alle sei corde che alla batteria. Troviamo riff pesanti e assoli lunghi e tecnicamente ben realizzati, magari non particolarmente complessi, ma che si fanno apprezzare appieno. La velocità della batteria è sempre molto elevata dando una continuità martellante al disco. L’album inizia con un'intro tra l’epico e il maestoso che ci accompagna nell’ascolto della prima canzone “Reaper's Call”, dove le cose si fanno subito interessanti con un ritmo martellante ed un ritornello bello orecchiabile con Krista che alterna stile rabbioso a melodico. Pezzo ben riuscito. In “Ruthless Bloodline” troviamo un interessante aumento della velocità alternato a cambi di tempo più lenti. Il tutto rende bene l’idea della qualità tecnica della band e quella canora della nostra Krista. In “Time To Rise” si viene rapiti dall'intensità vocale sempre ai massimi livelli, giri di basso molto apprezzati e da una batteria molto intensa. Altro pezzo azzeccato. Devo dire che fino a questo punto non posso dire nulla, l'album si fa apprezzare appieno senza mai annoiare. “Born to Ride”, il singolo principale dell’album, non solo è vocalmente incredibilmente orecchiabile e con un ritornello di successo, ma stabilisce anche numerosi punti salienti in termini di assoli di chitarra. In tutto l’album sono ben inseriti gli assoli del chitarrista Victor Bucur, molte volte anche prolungati e interessanti.“Bonded to the Blade” ha un'intro Power Metal che gli conferisce un'atmosfera molto alla Helloween. La batteria massiccia e il basso martellante mettono davvero in mostra la voce e l'assolo di chitarra è sorprendente, insieme a elementi Thrash che crescono man mano che la canzone procede.”Chasing Euphoria” ha una grande melodia e un'accelerazione repentina e deve essere fantastica ascoltata dal vivo. “Strong Enough to Fall” altra traccia ben riuscita. La batteria e il basso pesanti creano un suono più simile a quello del Metal sinfonico e la voce di Krista è inarrestabile. L'assolo di chitarra è fantastico a tal punto da far venire voglia di ascoltarlo più volte. “Paradise or Parasite” ti tiene incollato all’ascolto e non ti lascia andare. Ha un'atmosfera tradizionale e Power Metal che è un mix perfetto. Alla fine conclude con sinfonie e atmosfere epico maestose come l’inizio dell’album. Quasi a voler concludere il tutto, salvo poi catapultarci in “Freedom of the Night”. La canzone più lunga dell'album con i suoi sei minuti e mezzo e un altro centro per i Lutharo. La traccia ha tutto, groove di batteria, basso e chitarra che lottano alternati in maniera superba. L'intro più lenta e classica esplode in una canzone pesante. Ancora una volta, lo stile vocale impeccabile della Shipperbottom conferisce a questa canzone una grande energia e sarà apprezzata da tutti gli ascoltatori di qualsiasi stile vocale, pesante e non. In sintesi, “Chasing Euphoria” è un album realizzato bene, suonato altrettanto bene con tecnica e fantasia. Un mix che non annoia mai, viene voglia di ascoltarlo più e più volte. La sua energia è contagiosa e anche il modo di cantare alternato estremo/melodico di Krista non risulta mai banale. Lei comunque tecnicamente è veramente capace di tutto, anche se la preferisco nelle parti melodiche dove dà il meglio di sé. Secondo me funzionerebbe meglio commercialmente un approccio totalmente melodico. Cari Lutharo, complimenti ottimo lavoro!

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Opinione inserita da Davide Collavini    10 Marzo, 2024
Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 2024
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Immaginatevi una mattina, vi alzate per andare al lavoro, a scuola, in palestra, ma il vostro cervello proprio non ne vuole sapere di darvi quella scossa che vi serve per affrontare la giornata… Bene, che inseriate nel lettore il CD, il vinile nel piatto o avviate il vostro player streaming preferito sugli Exhorder nella precisione l'album in questione, riceverete quella scossa energizzante! La carica giusta per rimettervi in moto! Questa è la sensazione che ho ricevuto appena ho iniziato ad ascoltare la loro ultima fatica "Defectum Omnium"! Grande grinta da parte del cantante, riff granitici assoli saettanti e una potenza nella batteria niente male. Un Thrash Metal degno di nota. Gli Exhorder non sono una band nuova nel panorama musicale Metal, anche se hanno all'attivo solo quattro album il loro stile ha avuto molta influenza su alcune band, anche famose, una fra tutte i Pantera! Degli Exhorder originali però oggi è rimasto solo Kylie Thomas alla voce e alla sei corde. Il sound è molto particolare, diversificato e mai scontato. Fin dai primi momenti del disco, l’album arriva forte e diretto, dimostrando fin da subito che non ci sarà da annoiarsi. Come traccia di apertura, "Wrath of Prophecies" dà il tono all'album con il suo suono aggressivo con riff pesanti e un ritmo martellante, mentre un'altra traccia di spicco, "Under the Gaslight", mette in mostra la voce caratteristica di Kyle Thomas. Presenta anche un ottimo cambio di tempo che incorpora elementi groove caratteristici della band mescolati con una solida base Thrash. Altri brani che mi hanno particolarmente colpito: "Divide and Conquer", presenta una chitarra particolarmente tagliente e coinvolgente che fa venire voglia di ascoltarla in loop più volte, mettendo ben in chiaro le capacità tecniche della band; un’altra bella canzone dal ritmo incalzante è "The Tale of Unsound Minds", mentre "Year of the Goat" potente e diretta che farà la felicità degli amanti del pogare alle rappresentazioni dal vivo. "Taken By The Flames" è una di quelle canzoni che finge di andare in una certa direzione e poi improvvisamente si precipita in tutt’altra parte. Altro centro sicuramente. Non ultima la title-track "Defectum Omnium – Stolen Hope", inizia in modo molto silenzioso con canti sacri che durano due minuti. Dopodiché iniziano a picchiare rapidamente, rivelando il pesante Doom. Un'epopea di sette minuti che regala momenti epici. E anche qui, Kyle brilla con una performance vocale formidabile. Una canzone che spicca decisamente per la sua varietà e complessità sonora. In sintesi quest'album mi ha colpito fin dal primo ascolto, sia per la particolarità tecnica canora di Kyle, la potenza e l’arrangiamento con cui sono state create le canzoni e anche per la varietà delle stesse. Un album che mi ha fatto venire voglia di ascoltarlo più e più volte, soprattutto mentre mi alleno in palestra. Sarò sincero, non conosco i vecchi Exhorder quindi non posso fare paragoni con il passato. Ma sicuramente questi del 2024 non sono affatto male. Veramente consigliato!

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