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Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    04 Agosto, 2024
Ultimo aggiornamento: 04 Agosto, 2024
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In soli cinque anni di vita, gli olandesi Defacement si sono ritagliati - a buon diritto, lo sottolineiamo - uno spazio tutto loro tra le frange più contorte e caotiche del Metal, quelle che richiamano gente come Ulcerate, Suffering Hour, Vertebra Atlantis, Incantation e company. Insomma, un filone, quello del quartetto, che può contare su dei pilastri più che noti del settore. Eppure in questo grande calderone i Nostri si sono saputi distinguere con una formula pressoché unica ed inimitabile, e questo "Duality", il loro terzo full-length, ne è la prova. Figlio diretto del precedente omonimo disco, questo album ci presenta la band nella sua forma più matura e completa. Il risultato è dunque un prodotto estremamente variegato, spigolosissimo, difficilissimo, contorto... unico. Quando il Black/Death Metal più feroce di stampo Teitanblood e Triumvir Foul si incontra con le dissonanze dei Portal o, come dicevamo all'inizio, dei Suffering Hour, non può non uscirne qualcosa di malato al limite dell'umana concezione. E tanto basta a dare ai Nostri un biglietto da visita degno di questo nome: quasi 50 minuti di follia che trasportano l'ascoltatore in un oscuro gorgo da cui non si può più uscire, il tutto accompagnato da un tocco di eleganza che rende il disco non solo una mera prova di tecnica ineccepibile, ma anche qualcosa di ragionato e razionale nel suo essere totalmente privo di appigli. Le tracce proposte sono estremamente contorte, quasi per nulla riconducibili a pattern noti, ma comunque fruibili dopo svariati ascolti. Complice di tutto ciò le stupende sezioni più melodiche che accompagnano durante il viaggio, come avviene in "Barrier". Inoltre, differenza sostanziale con le precedenti produzioni, qui si è voluto dare un maggior peso alla sezione strumentale, con la voce del bassista Forsaken Ahmed che fa quasi da sfondo, rendendo il tutto ancora più folle. Un'opera, dunque, perversa e per certi aspetti non per tutti che nel suo avanzare senza logica - per così dire sia chiaro - riesce a darsi comunque una direzione, a patto di ascoltarla più e più volte per poterne cogliere ogni singolo aspetto. Sicuramente tra gli album più interessanti e meglio riusciti del 2024 che entra tra i candidati della top 10 di quest'anno.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 2024
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Se vi chiedessero di pensare al Metal estremo, quasi sicuramente l'Australia non sarebbe il paese che vi verrebbe in mente per primo. Tuttavia, la terra dei canguri è ben lungi dall'essere priva di una scena attiva e ribollente di novità, come oggi andremo a dimostrare. Dal sottobosco del vastissimo territorio australiano ecco spuntare gli Endless Loss, duo capitanato da tali SJ alla voce e chitarre e ML alla batteria. Per il resto la band è praticamente sconosciuta avendo alle spalle un solo EP e una demo. Ma oggi la musica cambia in tutti i sensi con questo fenomenale "Traversing the Mephitic Artery", primo vero album di debutto del duo di Adelaide che ci mostra un gruppo che di Black/Death Metal ne capisce tanto, ma veramente tanto. Per darvi un'idea: immaginate di mettere in un frullatore Triumvir Foul, Teitanblood e Archgoat; aggiungete un microscopico pizzico di follia dissonante dei Portal e avviate la macchina. Ecco, il risultato sarà un disco di una potenza devastante ed una personalità granitica come un monolite. Questo "Traversing the Mephitic Artery" si presenta come una gorgo oscuro, un turbine nero nell'acqua che inghiotte perfino la luce dal tanto che risulta pesante, con tutte le accezioni con cui si può usare il termine. La ritmica è serrata e non lascia spazio a momenti di calma, tranne in qualche passaggio come in "Sepulchre of Violent Consummation". Eppure, nonostante tutto, ML riesce a muoversi attraverso pattern affatto scontati, dando alle tracce un impianto osseo molto stabile e convincente. A seguire abbiamo il riffing: brutale, marcio, oscuro, privo di qualsiasi richiamo alla luce. Tutto è impastato come se fosse una melma maleodorante dalla quale emerge soltanto un growl cadaverico che molto deve agli americani Triumvir Foul - il che è un enorme punto di merito -. Ma anche qui non è da intendersi come un disco nel quale tutto è buttato in caciara tanto per dargli l'effetto frullatore impazzito. Al contrario: in questa quasi mezz'ora il duo riesce ad imprimere la propria personalità alle tracce, che risultano - stranamente ed in contrasto con il mood - scorrevoli e granitiche, senza intoppi del caso o fastidiosi passaggi. Chiaramente siamo di fronte ad un certo modo di intendere il Black/Death nelle sue frange più feroci ed estreme, ma possiamo garantirvi che questa è la qualità se volete addentrarvi nei meandri più oscuri del genere. Complimenti ragazzi!

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 2024
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Quella che stanno vivendo gli olandesi Bodyfarm è letteralmente una seconda nuova vita: dopo la morte del fondatore Thomas Wouters e l'uscita dalla line-up del cofondatore, il batterista Quint Meerbeek, i Nostri hanno passato una fase di riassestamento con la pubblicazione nel 2023 dell'album "Ultimate Abomination": un'ottima prova che dimostrava quanto la band avesse ancora lo stomaco forte per potersi fare carico di queste importanti novità ed andare avanti. Ebbene oggi siamo di fronte ad un altro piccolo passo avanti in questa rinascita dei Bodyfarm, ossia l'EP "Malicious Ecstasy": un assaggio della ferocia olandese fatto di quattro inediti e alcuni brani live in vista del tour che vedrà i Bodyfarm fare da spalla a Pestilence e Carnation. L'EP, tanto per essere secchi e diretti, fila liscio che è una meraviglia, senza intoppi o inciampi del caso, con l'unico difetto che, se proprio dovete presentarlo come full-length, quantomeno assicuratevi di avere nella faretra più tracce nuove anziché brani suonati live. Comunque sia, tolto il neo in questione, siamo di fronte ad una classica prova firmata Bodyfarm, con quel sentore Asphyx spennellato dalle sfuriate Dismember e Bolt Thrower per un risultato che, tutto sommato, si attesta ben al di sopra della media e che conferma quanto la band sia ben lungi dal battere la fiacca. Certo, è comunque un settore questo dove i Nostri sanno muoversi, non una vera e propria comfort zone ma nemmeno un terreno tutto da battere: i Bodyfarm sono nel posto giusto al momento giusto, con alcuni guizzi di genio e altri passaggi un po' più comodi e quasi prevedibili.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 2024
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Beh, c'era da aspettarselo. Era lì, nell'aria, già annunciata: la versione ri-registrata di "Schizophrenia", capolavoro dei Sepultura del 1987, per mano dei fratelli Cavalera. Quindi, senza che facciate i finti stupiti, considerando che esattamente un anno fa Max e Iggor pubblicarono il ri-arrangiamento di "Morbid Visions" e "Bestial Devastation", tuffiamoci in questo viaggio nel passato. In realtà c'è molto poco da dire - e grazie al ca**o direte voi -, il disco parla da sé: cosa vuoi obiettare ad un album che ha fatto la storia del Thrash e che è perfetto dall'inizio alla fine? Esattamente nulla. Ciò che invece possiamo fare è constatare come - e PER FORTUNA - i fratelli Cavalera non abbiano minimamente voluto snaturare la loro creatura adattandola ai tempi moderni con tutti gli abbellimenti e ghirigori del caso. Esattamente come successe per "Morbid Visions", siamo di fronte ad un lavoro di pulizia, per così dire, di una vecchia gloria; una sorta di spolverata e lucidata per dare il giusto merito ad un sound che già trent'anni fa fece tremare il mondo del Metal. Sound che all'epoca, vista anche la produzione più "casereccia" - che noi amiamo, sia chiaro - risultava sporco. Ecco, i Nostri non hanno semplicemente dato una passata di pezza e basta, una "ripulita" alla copertina et voilà: semplice, diretto ed essenziale. Poi è chiaro come il sole che si tratta di un album di cui non avevamo assolutamente bisogno dato che il passato sta bene dove sta; però non possiamo non lodare questa spasmodica attenzione nell'omaggiare senza snaturare la propria storia. Quindi dai, questa versione di "Schizophrenia" è più che valida e merita tanto.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    02 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2024
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Speravamo di non arrivare mai a questo punto, ma, ahinoi, eccoci qui con quello che - speriamo di no -potrebbe essere il momento del calo degli inglesi Ingested: band che negli ultimi anni si era imposta come una realtà in crescita, freschissima di idee e con un rinnovato stile. Ne fu un esempio il capolavoro del 2020 - ad oggi imbattuto - dal titolo "Where Only Gods May Tread", l'opera che diede al trio inglese la notorietà e l'importanza che meritava. Sarà un caso che con il passaggio a Metal Blade i Nostri abbiano abbandonato l'idea di portare al tavolo prodotti di qualità in favore della quantità? Ai posteri l'ardua sentenza e a noi il compito di recensire questo settimo lavoro, il qui presente "The Tide of Death and Fractured Dreams". Ora, definirlo un brutto disco sarebbe intellettualmente disonesto e d una grossa stupidaggine. D'altro canto non possiamo nemmeno decantarlo come un'opera degna del nome Ingested; o almeno non in parte. Siamo di fronte al classico disco senza infamia e senza lode che non aggiunge nulla alla carriera del trio e che anzi, a fronte dei precedenti capitoli di molto superiori a questo, ci fa solamente inca**are. La componente Deathcore, come pure le spennellate Slam degli albori sono sempre lì. Idem per quanto riguarda le sferzate melodiche e più oniriche. Il tutto però suona come prodotto di riserva, di band stanca e per nulla affamata di idee; e non parliamo di struttura dei brani similare. Parliamo proprio di ciò che gli Ingested trasmettono con questo settimo album: stanchezza. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un colosso di granito che al suo interno però nasconde un cuore morbido e molliccio; della serie più potenza che atto. Un'inevitabile conseguenza per una band che in quattro anni ha sfornato tre dischi e una remastered edition di un vecchio capitolo. Capite dunque che non si tratta solamente del delirio del recensore, ma di qualcosa di più intrinseco riassumibile nella frase "quantity over quality", che dovrebbe invece essere l'inverso.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    02 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2024
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Chiediamo scusa per l'enorme ritardo con cui scriviamo questa recensione. E lo chiediamo doppiamente dopo aver messo le mani su questo fenomenale "The Tread of Darkness", colossale disco di debutto dei bielorussi Ciemra: l'ennesimo album che conferma di nuovo quanto l'Europa dell'Est sia la nuova culla dell'ondata Black Metal moderna. Un tripudio di sonorità, mid-tempo, arpeggi, feroci cavalcate ed emozioni che stentiamo a credere possano essere tutti presenti all'interno di una sola opera. Eppure è così. Stentiamo inoltre a far rientrare in determinate coordinate stilistiche il sound del quintetto di Minsk, poiché "The Tread of Darkness" è un album talmente denso di contenuto che sarebbe imperdonabilmente riduttivo tentarlo di inquadrare in un solo blocco; e forse è meglio così. I riff sono profondi, eleganti ma al contempo velenosi e feroci, la voce è cadaverica, l'impulso omicida è sempre lì dietro l'angolo ma ben nascosto, quasi a volersi fare appena intuire. Un sorta di vedo-non vedo che traccia dopo traccia ci trasporta all'interno di un maligno vortice oscuro. Immaginate di prendere la ferocia dei Necrophobic ma con le atmosfere di Mgła o Gaerea: praticamente come tentare di unire i poli uguali di due calamite. Eppure i Nostri riescono nell'impresa di creare un'opera estremamente eterogenea, possente, austera ed elegante ma al contempo feroce e malefica, costantemente tinteggiata da spennellate di violenza ferina degna dei migliori lavori Raw Black. Non sarebbe nemmeno giusto parlare di rivisitazione di diversi stili del Black Metal, perché lascerebbe sottintendere una sorta di lavoro citazionistico o comunque non genuino. Niente di tutto questo. Qui siamo di fronte a bravura allo stato puro messa in atto da un gruppo di cinque componenti che a modo loro hanno plasmato un capolavoro. Goduria allo stato puro per 45 minuti di qualità fuori dal comune.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    02 Giugno, 2024
Ultimo aggiornamento: 02 Giugno, 2024
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Si presentano feroci, incattiviti e senza fronzoli i 4Banned, band brasiliana attiva dal 2015 che debutta con il suo primissimo full-length "Sanatorium", licenziato da WormHoleDeath. Un disco che vuole essere il classico pugno in faccia che ti arriva quando meno te lo aspetti; così, senza pensarci due volte, diretto e violento: un concentrato di Death e Thrash Metal che pesca da ogni dove per poi riunire tutto all'interno di dieci tracce solide come colonne portanti. Insomma, siamo di fronte ad un biglietto da visita davvero niente male dove ogni singolo elemento è studiato per uno ed un solo scopo: pestare a sangue senza pietà. Compito che al quartetto riesce molto bene dato che i brani proposti non ci pensano minimamente a perdersi in inutili orpelli di abbellimento, benché ci sia una certa armonia tra le parti in gioco, evitando dunque che tutto il carrozzone si abbassi ad un a poltiglia informe di roba buttata a caso tanto per far rumore. Sulla carta abbiamo dunque un album che ha una forte personalità, di quelle che non gliene frega niente di niente e si impone con la forza; peccato poi che con l'ascolto emergono due difetti che, ahinoi, non abbiamo potuto non notare: la voce e una certa ricorrenza nella struttura dei brani - fatto salvo qualche pezzo che da solo vale l'intero album -. Il secondo punto a dirla tutta è anche sorvolabile, perché se da un lato notiamo come i pezzi abbiano una struttura similare, dall'altro l'ottima performance dei Nostri riesce a farcelo andare bene, tant'è vero che non ci dispiace minimamente. Tuttavia la voce di Icaro Cavalcante è quella che noi definiamo la nota dolente dell'intero disco: troppo moscia e senza anima; un mezzo growl che poco ha a che vedere con tutta la situazione. Un vero peccato perché altrimenti avremmo dato sicuramente un mezzo voto in più ai 4Banned.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    05 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2024
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I Decrowned sono finlandesi e suonano Melodic Death: sarà quasi un cliché, ma una componente non può mai escludere l'altra c'è poco da fare. Attivi dal 2017 e proveniente da altre realtà del genere, i Nostri debuttano nel 2024 con il loro primo album dal titolo "Persona Non Grata", proprio come l'ultimo degli Exodus. Comunque sia, il quartetto si presenta con un signor biglietto da visita, totalmente imbevuto di quelli che sono gli stilemi finnici ma senza disdegnare contaminazioni provenienti dalla vicina Svezia: il risultato è dunque un disco estremamente solido che si spalma in dieci tracce - più intro e outro - sostenute ed accattivanti. Ciò che ci è piaciuto parecchio della band è il fatto di avere un sound molto ricco e variegato, con continui cambi ed intermezzi che richiamano da una parte i Wolfheart e gli Insomnium, ma dall'altra c'è anche la durezza svedese dei Dark Tranquillity di metà carriera e le cavalcate in stile Amon Amarth. Insomma, siamo di fronte ad una sorta di ibrido che ingloba al suo interno svariati elementi e li ripropone in chiave moderna e personale a modo suo. Ciò che fondamentalmente ci ha fatto un po' storcere il naso sono due fattori: un growl piuttosto debole e incisivo ed un songwriting alle volte troppo ricco. soprattutto quest'ultimo elemento ci fa percepire i Decrowned come una band con tanti strumenti a disposizione ma poca cognizione di causa nell'usarli. Insomma, a volte "less is more". Durante l'ascolto infatti non si riesce bene a dare un'identità alla band perché ci ritrova a fare i conti con tanti elementi che alla fine rischiano di vanificare il tutto, relegando la band ad una costante citazione anziché ad un gruppo che con quegli stessi strumenti plasma una creatura tutta sua. Insomma, il disco è una palla di cannone lanciata a tutta velocità, senza però preoccuparsi di dove voler colpire, con il rischio di far fare a quella palla un giro di 180 gradi in direzione di chi l'ha lanciata. un vero peccato se si considera che alcune delle tracce proposte funzionano molto bene.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    05 Mag, 2024
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2024
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I leggendari Darkthrone sono un po' come Batman definisce il Joker: da loro devi aspettarti l'inaspettato. Lungi dal fare presentazioni inutili o introduzioni prolisse, diciamolo subito: questo ventunesimo album dal titolo "It Beckons Us All......." è un signor album, pregno della maestria di chi, da ben 37 anni continua a fare la storia del Metal. E non c'è da stupirsi se il duo Fenriz-Nocturno Culto questa volta abbia nuovamente deciso di rimescolare le carte in tavola proponendo un disco perfettamente in linea con il revival delle sonorità Heavy e Doom ma con quel piglio che solo loro due sanno mettere nelle loro produzioni. Giunto a due anni di distanza dallo sfortunato e fiacco "Astral Fortress", la nuova creatura dei Darkthrone ci presenta - e per fortuna - una band che ha ancora molto da dire, o meglio: non smetterà mai di voler dire. Sembrava infatti che i Nostri avessero finito le idee o quantomeno il guizzo compositivo, tant'è che il precedente lavoro spaccò nettamente in due l'opinione pubblica, tra detrattori e fan incalliti. Insomma, in un modo o nell'altro il duo non ha mai smesso di far parlare di sé. Comunque sia questo "It Beckons Us All......." sa essere un album solido, forte di personalità e con un'energia quasi ritrovata rispetto all'inciampo di un biennio fa, con una maggiore enfasi delle parti Speed ed Heavy e meno giri prolissi ed eterei che, diciamolo, nel capitolo precedente avevano fatto storcere il naso. Sia chiaro, ormai è sciocco ripeterlo: i tempi del Black Metal nudo e crudo sono più che finiti e i Nostri lo sanno benissimo; anziché proporre roba trita e ritrita tanto per mandare avanti la baracca e dire "noi c'eravamo", i Darkthrone hanno fatto il giro di boa ritornando su uno stile quasi citazionistico ma non per questo vecchio o monotono. Con un sound più secco e diretto ed un songwriting vitaminico e deciso, il ventunesimo sigillo di Fenriz e Nocturno Culto riesce a rapire ancora una volta, arricchendo una carriera che in 37 anni ha visto uscite di elevatissima qualità. Da rispettare ed encomiare il fatto che sulla soglia degli -anta, la band non ha voluto adagiarsi sugli allori, preferendo invece continuare consegnando al passato il proprio retaggio e guardando avanti con un occhio e con l'altro indietro. Insomma, c'è tanto di già sentito qui, ma non nel senso negativo del termine: piuttosto lo definiamo come un viaggio nel tempo in cui due veterani ci mostrano le antiche origini del Metal, proponendo sette brani intensi, cattivi e maligni ma maledettamente eleganti e a modo loro complessi. Ripetiamolo: un gran respiro di sollievo visto il precedente album.

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Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    21 Aprile, 2024
Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 2024
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Sono tanti, tantissimi i gruppi che volutamente sono demenziali e non si prendono sul serio, ed anzi sfruttano questo umorismo per prendere in giro determinati cliché. Ma, come in tutte le cose, anche fare l'idiota richiede una certa abilità: vedasi i cechi Gutalax, che tra un grugnito e un lancio di carta igienica sono diventati iconici. Non si tratta solo di fare i cogl***i e buttarla in caciara, o meglio: si tratta di questo ma soprattutto di saperlo fare. Poi ci sono soggetti come gli inglesi Crepitation che se ne fregano di qualsiasi cosa e la buttano in una caciara talmente caciara che l'unica cosa che ti viene in mente è cestinare anche le cuffie dalle quali li ascolti. Attivi dal 2005 - sì, avete letto bene - i Nostri hanno una lista di demo e singoli più lunga della Salerno-Reggio Calabria e solo due album, tra cui questo odiosissimo "Monstrous Eruption of Impetuous Preposterosity", probabilmente il peggior disco del 2023. È noto come la band da sempre prenda in giro il mondo dello Slam/Brutal esagerando volutamente parti vocali e strumentali; ma qui si arriva ad un punto di saturazione talmente alto che si supera di moltissimo la linea di confine tra satira/prodotto volutamente scarso e la spazzatura. Un mix di grugniti, suoni gutturali, e tutto ciò che concerne il genere, a pioggia e una sezione strumentale iper densa di tecnicismi, breakdown e blastate. Immaginate di prendere tutto questo, buttarlo in un frullatore e comprimerlo all'interno di tredici tracce. Esattamente, anche il sottoscritto ha rimpianto le vuvuzela durante i mondiali del 2010, che a pensarci bene erano molto più gradevoli di questo scempio spacciato per satira. E no, in questo caso non si può giustificare il tutto con la satira, perché a rimetterci è la salute del cervello dell'ascoltatore che rischia di esplodere. Bocciato sotto ogni aspetto.

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