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Opinione scritta da Ninni Cangiano

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    19 Dicembre, 2015
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Il progetto Odyssea risale al 2004 grazie ad un’idea del chitarrista Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle, Vanexa ed ex-Labyrinth); dopo l’ottimo debut album “Tears in floods” dello stesso anno, Pier scrisse diversi brani con Roberto Tiranti (ex-Labyrinth ed ex-Vanexa) quale singer che, però, sono rimasti accantonati per i vari impegni dei due musicisti. Almeno fino a quest’anno, quando i due hanno coinvolto una lunga serie di ospiti e realizzato questo nuovo album intitolato “Storm”, composto da 12 pezzi (due dei quali con il ruolo di bonus tracks). Ascoltare questo album, da appassionato di power metal, è stato per me un piacere, dato che la qualità delle singole composizioni è indubbiamente di livello fuori dal comune. Del resto, stiamo parlando di musicisti di calibro eccezionale da cui non ci si poteva attendere null’altro che non fosse di livello qualitativo superiore. E così è stato! Una dopo l’altra, scorrono via canzoni che sono una più bella dell’altra, da “No compromise” (presentata in due diverse versioni, in apertura e chiusura del disco), alla veloce “Anger danger” (con splendide parti di chitarra), fino alla title-track “Storm” (in cui Pier Gonella mette in mostra tutto il suo amore per i compositori classici) ed alla successiva “Ride” (ispirata ad Albinoni). Da evidenziare anche la presenza della cover di “Galaxy”, sigla del cartone animato “Galaxy express 999”, opportunamente “metallizzata” che è una chicca per chi, come questo misero recensore, ha avuto la propria infanzia tra fine anni ’70 e primi ’80. Nelle composizioni c’è anche una certa attenzione all’elettronica, il che giustifica la presenza di brani come “Ice” ed “Apocalypse pt. 2” (seguito di quella prima parte, presente sul precedente album), anche se un po’ avulsi dal contesto, almeno secondo il mio punto di vista. Credo che questo “Storm” sia l’ennesima conferma dell’ottima qualità della scena metal italiana e mi auguro che non ci sia da aspettare altri 10 anni per avere un nuovo disco degli Odyssea, eccellente come questo!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    18 Dicembre, 2015
Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 2015
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E’ particolare come l’Argentina sia terra di bands dedite al folk metal di ispirazione irlandese e scozzese, nazioni letteralmente all’altro capo del mondo da quella sudamericana.... eppure, dopo gli Skiltron, ecco arrivare anche i Triddana, di cui avevamo già parlato all’epoca del loro debut album “Ripe for rebellion” del 2012. Trascorsi 3 anni dal loro debut, trovato un contratto con l’attenta label Power Prog (le cui uscite sono davvero una più interessante dell’altra!), perso per strada il singer Diego Valdez (sostituito al microfono più che degnamente dal chitarrista Juan José Fornés, la cui ugola non è poi tanto differente) ed arruolato il nuovo bassista Diego Rodríguez (al posto di Fernando Marty), il combo ha rilasciato un nuovo disco intitolato “The power & the will”, dotato anche di un’elegante e piacevole copertina. Le similitudini del sound del quartetto sono rimaste invariate ed ecco che il paragone con i loro conterranei Skiltron e con i nostri Folkstone è più che calzante; il ritmo imposto dalla batteria di Ranz è sempre molto frizzante e la voglia di mettersi a saltare e zompettare al suono delle cornamuse di Pablo Allen è davvero forte. L’album è composto da 12 hits per poco più di ¾ d’ora di ottimo folk power metal, quello da ascoltare a tutto volume, innaffiati di birra ghiacciata e con tanti amici per fare festa tutti assieme. Non c’è niente da fare, questo genere di metal mette di buon umore, infonde energia ed adrenalina e voglia di muoversi; di contro, è decisamente sconsigliato se state guidando la vostra auto in un lungo percorso, perché vi troverete senza rendervene conto a godervi l’ebbrezza della velocità elevata a rischio di autovelox vari e punti sulla patente! Non trovo punti deboli, anche a volerli cercare con insistenza, in questo disco che scorre via che è un piacere dall’inizio alla fine; sono parecchi i brani che mi sono piaciuti davvero, per cui invito ogni fan della band e di questo genere musicale ad ascoltare l’album per trovare i propri pezzi preferiti, con il rischio di apprezzare indifferentemente tutto il lavoro, così come è successo a me. I Triddana con “The power & the will” hanno realizzato un grandissimo disco, forse il migliore in assoluto uscito quest’anno nel settore folk power.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    18 Dicembre, 2015
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Chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di assistere ad almeno un concerto dei friulani Elvenking, sa benissimo come la dimensione live della band di Aydan e Damnagoras sia semplicemente strepitosa; il combo friulano sembra sia nato per stare on stage e dare spettacolo, sia grazie all’innata capacità di animale da palcoscenico del singer, ma anche per le doti dei singoli musicisti che compongono il gruppo. Dopo ben 8 studio albums e tanti anni di carriera, gli Elvenking sfornano il loro primo live, intitolato “The night of nights”, presentato da AFM Records in versione doppio-cd + dvd con oltre due ore di materiale e ben 25 brani, con aggiunta sul dvd di tutti i video realizzati dalla band nella propria carriera. Per l’occasione fu registrato il concerto tenutosi a Pordenone in data 02.05.2015 (c’eravamo anche noi di allaroundmetal, ricordate? http://www.allaroundmetal.com/live-concerts/item/5939-the-night-of-nights-elvenking-starsick-system-2-maggio-deposito-pordenone) , in quel locale, “Il Deposito”, che è praticamente la seconda casa degli Elvenking, per l’occasione colmo di fans, alcuni dei quali arrivati anche dall’estero, addirittura persino dal Sud America! Con una scaletta di ben 25 pezzi (sei dei quali sono semplici intermezzi ed uno, “Symohn’s bash”, non è altro che un lungo assolo di batteria), non manca praticamente nulla e vengono estratti brani da ognuno dei dischi di questa grande band; dal debut del 2001 “Heathenreel” ci sono “Skywards”, la lunga “Seasonspeech” e la conclusiva ed immancabile “Pagan purity”; da “Wyrd” del 2004 (unico album in cui non c’era Damnagoras) la sola “Jigsaw puzzle”; dallo splendido “The winter wake” del 2006, la title-track, “Trows kind”, “Disillusion's reel “, “Neverending nights” e “The wanderer”; da “The scythe” del 2007 purtroppo la sola “The divided heart” (scelta questa discutibile, visto che parliamo di un gran disco che avrebbe meritato di essere rappresentato da più canzoni); da “Two tragedy poets” del 2008 troviamo il singolo “From blood to stone” e “She lives at dawn”; da “Red silent tides” del 2010 ci sono “Runereader” e “The cabal”; lo splendido “Era” del 2012 è rappresentato dall’eccezionale “The loser” e “Through wolf’s eyes”, infine dall’ultimo “The pagan manifesto” dello scorso anno ci sono l’intro iniziale “The manifesto”, “Pagan revolution”, “Elvenlegions” e “Moonbeam stone circle”. Da segnalare la presenza anche di diversi ospiti, come Chiara Tricarico (singer dei Temperance) ed Isabella Tuni (tastierista e singer con lo pseudonimo di “Whisperwind” dei Leprechaun, disciolta band di Damnagoras, quando era uscito dagli Elvenking) sul pezzo “Seasonspeech”, nonché degli ex-membri Jarpen (chitarrista sui primi due album) e Gorlan (bassista della band fino al 2012) sull’inno finale “Pagan purity”. La qualità sonora è estremamente professionale e purtroppo non sono in grado di raccontar nulla su quella video (che comunque immagino di pari livello), dato che abbiamo avuto a disposizione per questa recensione esclusivamente la parte audio. “The night of nights” è un’opera imprescindibile per tutti i fans degli Elvenking e del folk metal in genere, una testimonianza della grandezza di questa band italiana che oramai dobbiamo considerare allo stesso livello dei big della scena metal mondiale!

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    08 Dicembre, 2015
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Avevo conosciuto i tedeschi Coronatus all’epoca del loro secondo album, quel “Porta obscura” che aveva ancora in sé diversi stilemi del gothic sinfonico; dal 2008 sono passati diversi anni ed i Coronatus non hanno mantenuto le ottime promesse che avevano fatto con quel lavoro (ma anche con il primo disco “Lux noctis”) e, disco dopo disco, arriviamo al 2015 con questo “Raben im herz”, settimo della loro carriera e primo senza titolo in latino, purtroppo pieno zeppo di brani con testo nell’ostico idioma tedesco. Come detto, i Coronatus nel corso della loro carriera non sono riusciti a mantenere il livello qualitativo degli esordi (solo il predecessore “Cantus lucidus” si lasciava ascoltare piacevolmente) ed anche con questo disco confermano quel trend negativo: del gothic sinfonico degli esordi non c’è più traccia ed il sound della band si è trasformato nel più canonico female fronted melodic metal, con qualche momento symphonic e digressioni nel folk (da sempre presente nella loro musica) che rappresentano poi la parte più interessante e frizzante, come in “König der nebel” e “Carpe noctem”, che sono i pezzi migliori del disco ed i più ritmati. Già, forse quello che maggiormente manca a questo lavoro è il ritmo, troppi brani che non decollano mai, troppo lunghi e con cui si rischia facilmente di annoiarsi. Oltre ai due pezzi predetti, infatti, salverei solamente “Hoffnung stirbt niemals” (che avrebbe avuto una miglior resa senza la lunga parte centrale) e la solenne “Seelenfeuer”, dotata di belle parti di basso. L’aver mantenuto finalmente stabile la formazione, non ha giovato ai due leader (la singer Carmen R. Lorch ed il chitarrista Olivér D.), tanto che si potrebbe facilmente accusare i Coronatus di un pericoloso immobilismo compositivo. Probabilmente, per il futuro sarebbe meglio dare maggior spazio alla componente folk nel sound, oltre che evitare pezzi troppo lunghi e troppo lenti. Da segnalare che nella versione digipack è previsto un bonus-cd con 5 brani dell’album in versione orchestrale. Mi dispiace per i Coronatus, ma questo “Raben im herz” non è all’altezza del suo predecessore e segna un temibile passo indietro a livello compositivo. Obiettivamente, c’è molto di meglio in giro e consiglio a chiunque (anche ai fans della band) di ascoltare il disco prima dell’acquisto e, chissà, magari giudicare diversamente da me....

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    06 Dicembre, 2015
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Dopo il passo falso del disco “Captain’s loot”, uscito ad inizio di quest’anno, tornano i power metallers tedeschi, Messenger, con un nuovo album, intitolato “Starwolf pt. II: Novastorm”, che continua la loro saga sui cinque pirati spaziali intrapresa nel 2013 con “Starwolf pt. I: The Messengers”. Fortunatamente dopo l’infelice parentesi precedentemente citata, i Messenger tornano su sonorità più gradevoli e più azzeccate, segnando un’ideale prosecuzione anche a livello di sound con la prima parte di questa saga. Rispetto al precedente episodio, ci sono un po’ di brani dal ritmo meno sostenuto ma, tutto sommato, siamo sempre su buoni livelli in quanto ad energia ed adrenalina, con una discreta quantità di cori epici ed orchestrazioni. Personalmente rimasi folgorato dal primo episodio e, di conseguenza, trovo questa seconda parte leggermente meno accattivante, ma ugualmente ci troviamo su standard qualitativi molto elevati, per un genere come il power metal. Per il mio modo di concepire questo genere di musica, i pezzi migliori sono quelli più ritmati e veloci, ed ecco che brani come la splendida “Warrior’s ride” (in cui si sentono echi dei migliori Running Wild), l’epica opener “Sword of the stars”, l’inno “Privateer’s hymn” (mai titolo più indovinato!) e la title-track “Novastorm” sono quelli che ho ascoltato con maggior piacere. Anche la restante parte dei brani non sono niente male e rendono questo disco indubbiamente gradevole anche se, lo ripeto, un gradino sotto al precedente lavoro. Nella versione in digipack, sono previste anche due bonus tracks, la ritmata “Keep your dreams alive” e la ruffiana e massiccia “In Morgan we trust”, di cui purtroppo non ho ulteriori notizie, anche se immagino siano sempre brani scritti dagli stessi Messenger. Da segnalare l’ottimo lavoro della coppia di chitarre di Chainmaster (lead) e Pyro Jack (rhythm), strumento protagonista nel sound di questa band, sempre comunque ottimamente supportati da Dr. H.R. Strauss al basso e da Merlin alla batteria. Lo stile canoro di Francis Blake è particolare, sporco ed aggressivo, si sposa molto bene con il sound “piratesco” ed è indubbiamente differente dalle classiche ugole acute e cristalline tipiche del power di scuola nord-europea, specie scandinava. Se siete fans dei Messenger e del power metal in genere, dovete fare più di un pensierino a questo “Starwolf pt. II: Novastorm”, perché questo è indubbiamente un disco di buona qualità. In chiusura un appunto alla band: perché ancora un sito solamente in tedesco??

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    06 Dicembre, 2015
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Gli speed-metallers svedesi Enforcer, dopo 4 albums da studio, tagliano il traguardo del primo live album, intitolato “Live by fire”, registrato tra Giappone (il dvd) e Grecia (il cd) durante il tour del terzo album “Death by fire” nel 2013, ma edito solamente nell’ottobre 2015 dalla Nuclear Blast. Per questa recensione abbiamo avuto a disposizione solamente il cd, composto da 15 pezzi registrati live, cui si aggiungono 3 inediti; sul dvd, invece, ci saranno solo 9 pezzi, con una scaletta di ordine differente rispetto al cd. I pezzi live, naturalmente, sono estratti dai primi tre dischi degli Enforcer; troviamo così quattro pezzi estratti dal debut “Into the night” del 2008 (“Black angel”, “Mistress from hell”, “Scream of the savage” e la storica “Evil attacker”, con cui si chiude il live); quattro da “Diamonds” del 2010 (la splendida “Katana”, “Midnight vice”, “Roll the dice” e “Take me to hell”) ed, infine, praticamente l’intero “Death by fire” (ben 7 brani), da cui sono state escluse le sole “Sacrificed” e “Run for your life”. Venendo agli inediti, si tratta di tre brani che dovrebbero far parte di un EP, intitolato “Speak the tongue of heathen gods”, di cui purtroppo non ho ulteriori notizie. La title-track è un brano alquanto anomalo per i canoni degli Enforcer, aperto con un pianoforte, con assoli di chitarra dallo stile neo-classico, ci mostrano una band in grado anche di comporre un piacevole heavy metal classico che nulla ha a che vedere con lo speed che suonano normalmente. “Stellar plains” è maggiormente nello stile degli Enforcer, bella tirata, con numerosi cambi di tempo e ricca di energia. La conclusiva “Tyrants of our generation” è una cover di tali Frigid Bich, seminale cult-band newyorkese, attiva negli anni ’80, ma mai arrivata a pubblicare un vero e proprio full-lenght; si tratta di un altro brano speed, molto grezzo e violento, come si usava appunto 30 anni fa (l’originale risale ad un demo del 1984). Vista la qualità non eccezionale dei tre inediti, diciamo che non sono questi la punta di diamante del lavoro, ma sicuramente la prestazione live della band svedese; questi tre pezzi, aggiungono solo un qualcosa in più per solleticare le attenzioni dei fans della band. “Live by fire” è presentato in versione cd+dvd, in vinile, oppure in box set special edition che include cd, dvd e doppio vinile. Si tratta di un lavoro molto interessante, soprattutto per gli appassionati di speed metal, dato che obiettivamente gli Enforcer sono tra le bands migliori in assoluto di questo particolare genere musicale.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    28 Novembre, 2015
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Avevo già avuto modo di recensire il precedente lavoro degli statunitensi Huntress, quello “Starbound beast”, uscito nel 2013 che non raccolse particolari consensi in giro, se non per l’avvenenza della singer Jill Janus, ex-coniglietta di Playboy, appassionata di musica metal ed, a suo dire, dotata di una gran voce. Già in quell’occasione avevo avuto modo di notare come alcune volte l’immagine sia molto migliore del resto, visto che la musica degli Huntress era un heavy metal abbastanza semplice e poco o nulla originale, mentre la voce della bionda ed avvenente singer non mi aveva entusiasmato granché, non reggendo a mio parere il confronto con grandi cantanti donne dello stesso genere, come la polacca Marta Gabriel (Crystal Viper) o la italianissima Federica De Boni (White Skull). Stravolta praticamente per intero la formazione della band (rispetto al precedente lavoro, rimane solo il chitarrista solista Blake Meahl), Jill Janus ci riprova con un nuovo disco intitolato “Static”, dotato ancora una volta di una copertina tutt’altro che affascinante. Purtroppo, anche questa volta, viene da chiedersi come faccia una label importante come la Napalm Records a mettere sotto contratto una band del genere, dato che, musicalmente parlando, non ha assolutamente niente di particolare e può andar bene solo per ragazzini adolescenti in piena tempesta ormonale. “Static” è composto da 10 brani tutti abbastanza omogenei, nessuno che faccia scalpore, ma anche nessuno che faccia particolarmente pena, insomma un qualcosa di abbastanza mediocre, ascoltato tante ma tante volte in passato e che non ha la capacità di coinvolgere ed affascinare. Oltretutto, l’affascinante singer urla praticamente per tutto il disco e si fa apprezzare solo per la potenza delle sue grida e l’aggressività, ma è meglio non pretendere espressività e calore. Si apre con “Sorrow”, ritmata a dovere, per la quale è stato anche realizzato un video, basato su un vecchio b-movie intitolato “La maledizione della vampira lesbica”, recitato in italiano e sottotitolato in inglese. E’ evidente che gli Huntress puntino più sull’immagine che sulla sostanza e sulla qualità della loro musica (obiettivamente non eccezionale), ma questo non basta a sollevare le sorti di un lavoro che si fatica ad ascoltare tutto assieme tra diversi alti (i brani più frizzanti, tra cui la title-track, “Flesh” ed “I want to wanna wake up”) e bassi (in alcuni casi si rasenta la noia quando il ritmo cala, soprattutto nella lunga “Mania”), e tutto ciò nonostante non abbia durate esagerate (poco più di ¾ d’ora). C’è di meglio in giro, ma davvero molto di meglio e per gli Huntress resta solo da mettere in mostra più centimentri di pelle possibile del corpo della loro singer per poter ambire a qualcosa....

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    27 Novembre, 2015
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La presentazione di questo disco dice testualmente: “lasciatevi trasportare in un altro mondo dai Phantasma”; incuriosito da questa frase, mi sono tuffato nell’ascolto di questo progetto realizzato dai cantanti George Neuhauser (Serenity) e Charlotte Wessels (Delain), nonché dal poli-strumentista, producer e singer Oliver Phillipps (Everon, ex-Delain) e ne sono rimasto affascinato. Questi tre artisti, dopo aver coinvolto alcuni ospiti attorno a loro, hanno dato vita ad un progetto da cui è venuto fuori questo album “The deviant hearts”, i cui testi sono incentrati sull’omonima novella. La musica dei Phantasma è un elegantissimo symphonic metal, mai esagerato, ma sempre estremamente godibile, con le voci dei tre costantemente in grande evidenza. Per quanto mi riguarda, ho un debole per lo stile di Georg Neuhauser e devo dire che in questi 12 brani rende al meglio delle proprie potenzialità. Sin dalla dolcissima opener “Incomplete” e dalla successiva title-track (di cui la prima costituisce una sorta di ouverture), ci si può rendere conto di cosa ci si trova ad ascoltare: un lavoro con ritmiche mai troppo elevate, ma mai noiose o ripetitive, un qualcosa da ascoltare in religioso silenzio ed assoluto relax per allontanare dalla propria mente lo stress del vivere quotidiano, lasciandosi cullare dalle note delicate e ricercate, elaborate da artisti di spessore come questo trio. Nonostante io sia uno che predilige ritmo ed energia in un metal album, sia pure di un genere come il symphonic, devo ammettere che il sound dei Phantasma, pur non essendo particolarmente veloce, mi ha conquistato grazie alla sua eleganza e maestosità. Certo le mie canzoni preferite sono quelle più massicce, come “Enter dreamscape”, “Novaturient” e soprattutto “Crimson course” (la mia preferita in assoluto!) che non possono non ricordare i migliori Serenity, ma come non lasciarsi conquistare anche dalla dolcezza di “Try”, “The lotus and the willow” e “Carry me home”? Brani semplicemente azzeccati per trascorrere momenti romantici con la propria o il proprio partner. Il progetto Phantasma, con questo debut intitolato “The deviant hearts”, si candida ad essere in futuro un punto di riferimento per il symphonic metal ed indubbiamente questo disco eccellente non può non mancare nella collezione di ogni fan di questo specifico genere musicale.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    23 Novembre, 2015
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A pochi mesi dall’EP “Through the storm” (uscito a maggio), tornano gli slovacchi Signum Regis con il loro quarto full-lenght intitolato “Chapter IV: The reckoning”. Reclutati definitivamente (come già successo sul predetto EP) un tastierista in Ján Tupý e soprattutto un nuovo singer in Mayo Petranin (ricordiamo che sul precedente album c’erano tutta una serie di singer ospiti), la band di Ronnie König si mantiene su tematiche tipiche del christian metal e ci propone quel veloce e frizzante power metal di matrice scandinava, indubbiamente non particolarmente originale, ma comunque suonato con perizia, composto con ispirazione e che si lascia ascoltare gradevolmente. Personalmente non amo particolarmente la voce roca del singer, dato che ritengo una voce più acuta e pulita meglio adatta al genere di power metal suonato dai Signum Regis, ma sono prettamente punti di vista e gusti personali. L’album è composto da 10 pezzi, tutti abbastanza ritmati, anche se i migliori sono piazzati all’inizio, dall’opener “Lost and found”, fino all’ottima “Prophet of doom” (probabilmente la top song); gli ultimi due brani “The kingdom of heaven” e “Bells are tolling” (in cui le parti di piano sono suonate magistralmente dal maestro Mistheria), invece, non mi hanno entusiasmato particolarmente, comunque salvati dai consueti ottimi assoli del talentuoso chitarrista Filip Koluš. Tutto sommato, questo nuovo lavoro dei Signum Regis è un buon disco di power metal, sicuramente “Chapter IV: The reckoning” non passerà alla storia del settore, ma può indubbiamente far breccia nei cuori dei fans della band e di chi ama questo genere musicale.

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Opinione inserita da Ninni Cangiano    21 Novembre, 2015
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A distanza di un paio d’anni dal debut “Return to Port Royal”, si rifà sentire Cederick “Ced” Forsberg con il suo personale tributo ai Running Wild, denominato Blazon Stone; il secondo album si intitola “No sign of glory” e sin dalle prime note dell’opener “Fire the cannons” viene da dire: “magari i Running Wild” suonassero ancora a questa maniera!”. Eh già, perché il giovane chitarrista e leader dei Rocka Rollas, confeziona un disco che nemmeno i suoi amati Running Wild sono più capaci di realizzare da più di un ventennio. Potremmo tranquillamente accostare “No sign of glory” a dischi storici della band di Rolf Kasparek come “Death or glory”, “Pile of skulls” o “Black hand inn”, insomma la miglior produzione in assoluto dei Running Wild che la band tedesca non è più riuscita purtroppo a ripetere. Il chitarrista svedese sforna un album rovente, composto da 8 pezzi (+ la consueta superflua intro) che sono tutti convincenti, coinvolgenti ed estremamente godibili; ma Ced non si limita a comporre ottima musica e si mette a suonare tutti gli strumenti, basso, batteria e chitarra in maniera eccellente, dimostrandosi estremamente poliedrico, oltre che decisamente ispirato nel songwriting; solamente le parti vocali non sono curate personalmente, ma affidate questa volta a Georgy Peichev. Si, è vero, la sua musica non è per niente originale, ma cosa diavolo che ne può fregare quando è così piacevole? Chi, come il sottoscritto, è cresciuto a pane e Running Wild non può rimanere indifferente di fronte a gioielli come “A traitor among us”, la già citata “Fire the cannons”, “No return from hell”, oppure “Bloody gold”, il cui attacco è semplicemente orgasmico. Rischierei davvero di citare tutti i pezzi di questo album, che è un percorso lungo ¾ d’ora nella memoria e nella nostalgia di quel sound che i Running Wild seppero realizzare un quarto di secolo addietro e che oggi rivive grazie a Ced ed al suo progetto Blazon Stone. Non è stato facile procurarmi un esemplare di “No sign of glory” ma, contattando l’artista o la label, potete far vostra una copia di questo gemma di pirate-metal.

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