Opinione scritta da Dario Onofrio
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Ultimo aggiornamento: 07 Agosto, 2012
Top 50 Opinionisti -
Se dovessimo motivare la scelta di pubblicare una raccolta di dischi, non lo faremmo solo per il vil denaro. È esattamente ciò che penso di questa operazione made in SPV/Steamhammer, che ha deciso di fotografare il periodo probabilmente più buio della carriera degli Anvil. Più buio non per scarsità di idee compositive o poca voglia di suonare heavy metal come si deve, ma semplicemente per una freddezza particolarmente evidenziata a partire da Plugged In Permanent e Absolutely no Alternative. Mi sembra doveroso, più che parlarvi della musica (a cui comunque dedicherò spazio in questa recensione), parlarvi di come andarono le cose per il terzetto canadese a quell'epoca. Anzitutto, nel 95' la storica formazione subisce il primo cambio di formazione: al posto di Sebastian Marino alla chitarra subentra Ivan Hurd, massiccio e grezzo sconosciuto, che diventerà famoso per i suoi riffoni, mentre al posto di Mike Duncan al basso entra Glenn Five. Grandi cambiamenti per la leggendaria band di Steve Lips, dunque, ma mai radicali come il passaggio alla Hypnotic Records. Eppure non si può accusare nessuno del declino che questi quattro album rappresentano agli occhi di critica e pubblico. Tante belle idee, musica tecnicamente perfetta, suoni a posto... Ma sin da Plugged in Permanent c'è qualcosa di strano, un'atmosfera non pregna di metallo fuso come i vecchi dischi... Anzi, se vogliamo proseguire la recensione sulla strada dei paragoni direi che è come sentire due pezzi di metallo freddo che si scontrano. Andiamo alle influenze (perché ce ne sono, e si sentono): Steve & co. sembrano guardare al thrash tecnico degli anni 90' rispetto alle scelte fatte da altre band, restando sulla rozzezza, sia per quanto riguarda musica che testi (vedere per esempio Face Pull per la durezza e Piss Test per i testi), non c'è una gran varietà. Sparare riff a manetta, possibilmente pesantissimi, diventa l'obiettivo di questi due dischi, peraltro usciti in due anni conseguenti! Forse fu l'etichetta a spingere così sui canadesi? O furono altre ragioni che portarono a questo songwriting un po' banalotto e poco trascinante? Sarà una domanda che continuerete a porvi riscoprendo questo periodo degli Anvil. Plugged in Permanent e Absolutely No Alternative, chiusi in questa edizione particolare, saranno un appetitoso boccone per i collezionisti, ma non per chi ha intenzione di scoprire così la leggendaria band di Steve Lips. Se riuscirono a riprendersi con i lavori successivi, ve lo spiegherò nella prossima recensione proprio su quei dischi.
Ultimo aggiornamento: 19 Mag, 2012
Top 50 Opinionisti -
Stando al titolo di questo disco, spesso la storia si ripete: la ruota gira in eterno, e l'evoluzione umana non è un sentiero unico ma un ripetersi infinito. I Drudkh continuano così la loro storia, il loro cerchio, e ritornano, dopo la parentesi post-rock di Handful Of Stars, al più tradizionale black metal di sempre.
Trentasette minuti esatti trascorsi errando tra boschi e steppe sono quelli che attendono l'ascoltatore, che dopo la breve intro Eternal Circle si ritrova subito catapultato nella tempesta di Breath of Cold Black Soil. Ben dieci minuti per una prima traccia che mozza il fiato: qualcosa dal disco precedente è rimasto, specialmente nei vocals e nell'utilizzo della tastiera, ma anche nel punto che è sempre stato marchio di fabbrica della band ucraina, ovvero gli stacchi sospesi tra una sfuriata di blast-beating e l'altra. L'alta drammaticità del pezzo ci avvolge come il mantello raffigurato sulle spalle del vecchio errante nella copertina, fino a esplodere nell'ultimo, disperato, frangente black metal. Roman non ci dà tempo per prendere fiato e ci scaraventa in When Gods Leave Their Emerald Halls, pezzo dove vocalizzi e tastiera fanno da padroni. A livello di suono vero e proprio, i nostri hanno capito che con una discreta qualità audio è anche possibile inserire parti più complesse, come quelle che caratterizzano questo pezzo, con veri e propri "cori" da oltretomba, volti a creare un'atmosfera desolata e fredda.
Farewell to Autumn's Sorrowful Birds ricalca ancora una atmosfera vikingheggiante, ameno per l'inizio, perché con l'evolversi suoni, voci, effetti si mescolano per creare un bellissimo stacco di silenzio che prelude l'implacabile blastbeat da tormenta di neve. Appena attaccata arriva Night Woven of Snow, Winds and Grey-Haired Stars, ultimo e drammatico pezzo di questo breve disco: un'immancabile blastbeat introduttivo si snoda in una tortuosa traccia che da' spazio spesso ad altri ritmi, fino all'ottimo stacco di sole chitarre verso la metà del pezzo e un ritorno ad un tempo più vikingheggiante.
Si chiude così il nuovo lavoro dei Drudkh, sicuramente rispecchiante la loro anima originale di nazionalisti ucraini, ma che non dimentica gli sperimentali trascorsi per abbandonarsi spesso a picchi di "scavo interiore". Un buon ritorno sulle scene per una band che nel suo ambiente non ha certo bisogno di presentazioni.
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