Opinione scritta da Dario Onofrio
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Top 50 Opinionisti -
Vi ricordate il clamoroso disastro all'interno dei Sabaton del 2012? Ebbene, dalle ceneri di quella che sembrava essere per tutti gli appassionati di power metal una fine sono nate due band: i rinati Sabaton e i Civil War. Questo nuovo progetto, oltre agli ex membri della band svedese, vede la collaborazione nientemeno che di Nils Patrik Johansson, uno dei miei cantanti metal preferiti (il singer/clone di R.J. Dio che aveva inciso i primi due memorabili capitoli della storia degli Astral Doors). Cosa è venuto fuori, dunque?
The Killer Angels è un album assolutamente canonico, come intuiamo dall'ascolto di King of the sun, il primo pezzo che è puro power metal a metà tra i Sabaton e i Gamma Ray. A quanto mi è sembrato di capire, le tematiche della band sono sempre riguardanti la guerra e gli eroi/dittatori, se non per il caso di pezzi divertentissimi (anche se un po' scopiazzati da altri più famosi) come St. Patrick's Day. Le canzoni si susseguono l'un l'altra senza lasciarci particolari emozioni, anche se pezzi come I will rule the universe meritano davvero l'ascolto. Cori e tappetoni di tastiere vi piacciono? In pezzi come Lucifer's Court e Sons Of Avalon ne troverete in abbondanza, mentre per gli amanti dell'heavy più canonico ci sono Rome is Falling, Brother Judas e Gettysburg. Puro power lanciato a velocità folle si respira invece quando andiamo su pezzi come First To Fight e My Own Worst Enemy, senza dimenticare un pezzo straclassicissimo come la bonus-track March Across The Belt.
Tra riff già sentiti, cori, tastiere e una voce che stavolta copia Dio anche troppo, comunque, i Civil War hanno fatto davvero un buon lavoro, dimostrando a Joakim Brodén che adesso c'è un'altra band power metal che ai Sabaton non ha assolutamente nulla da invidiare. Da ascoltare se come me amate il power!
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Viking metal, pagan metal e altri termini che spesso danno solo un'idea di quello che c'è dietro a una band. In un panorama musicale dove l'estremo si sposa sempre più con la sperimentazione mentre dall'altra parte si cavalcano mode e stilemi solo per raggiungere una notorietà effimera, sono poche quelle band che osano ancora riproporre con insistenza, ma anche con una vena mai vuota d'ispirazione, il sound dei loro dischi.
I Thyrfing appartengono, secondo il sottoscritto, al secondo tipo. A distanza di ben cinque anni dall'ultimo Hels Vite, i nostri tornano sulla ribalta con il nuovo De Ödeslösa: un disco a mio parere must per qualsiasi amante del viking e dell'epic metal. Dopo la svolta black degli ultimi dischi, il quintetto svedese decide di coniugare questa nuova era con quella ancora precedente: ritornano con prepotenza le tastiere, le atmosfere solenni e la parte folk che caratterizzava il sound dei primi Thyrfing.
Mot Helgrid, l'opener, ci investe sin da subito con una tormenta di neve, dove gli urli di Jens Rydén sembrano provenire da una marcia disperata attraverso le montagne, al quale si contrappone un coro epico, denso di pathos. Già da questo primo pezzo si nota come la band non si sia mai adagiata su stilemi e su cose già sentite: i Thyrfing non innovano, ma la loro tecnica compositiva resta emozionante e ricca di spunti che variano dal black, al viking, fino a passare per il vecchio folk metal. Fordom, il secondo pezzo, inizia anch'esso con una cavalcata che va a stemperarsi in una chitarra acustica, per poi passare dopo poco tempo al vero ritmo della canzone: anche qui una cadenza regolarissima di batteria, quasi glaciale, ancora cori e l'immancabile tastiera che dà quel senso di smarrimento in mezzo ad una tormenta. Arriva poi quello che è forse il mio pezzo preferito del disco: Veners Förfall inizia con uno scacciapensieri che va poi a concretizzarsi immediatamente in un pezzo durissimo: la voce rabbiosa di Jens Rydén ci trasporta di nuovo in un mondo innevato, ma meno riflessivo dei pezzi precedenti, anzi più emozionale. L'ottimo lavoro di Joakim Kristensson dietro le pelli dà valore aggiunto a una parte ritmica che un'altra band avrebbe lasciato piatta e senz'anima. Bellissimo anche lo stacco diviso tra batteria e chitarra dopo la metà della canzone, che lascia spazio a un evocativo piano sotto il quale si inserisce uno spettacolare coro epico. Ilvija invece ha un incipit sereno, prima dell'esplosione della tempesta di neve: sicuramente uno dei pezzi più evocativi dell'album e quello più prettamente viking metal, con un bellissimo ritornello che inizia con un rallentamento e l'introduzione di arpa e tastiera. A seguirlo l'atmosfera guerresca di Kamp, che sembra quasi un grido di battaglia in mezzo a dei boschi infiniti. Il pezzo inizia infatti con chitarra, batteria e voce, per poi partire con un riff molto orecchiabile accompagnato dalle tastiere, per poi sfociare in un evocativo ritornello su alcune note di arpa. Relik invece inizia senza alcuna pietà, con delle atmosfere che non sentivo dai tempi dell'immortale Jaktens Tid dei Finntroll, per poi proseguire con cavalcate e sfuriate black/viking e sfociare in un bellissimo assolo verso il finale. A chiudere il disco due pezzi da sei minuti l'uno: Vindöga e la title-track seguono più o meno la stessa struttura, con un picco di epicità per quanto riguarda il secondo pezzo, andando a riprendere i temi e i cori dei pezzi precedenti ed ampliandoli. Padrone anche qui tastiera e arpa, che si fondono perfettamente con gli strumenti tradizionali trasportandoci attraverso lande innevate ed immortali monumenti di un passato che non c'è più.
I Thyrfing, insomma, ci regalano un'altro capitolo degno di nota nella storia di questo genere. De Ödeslösa è un disco che merita sicuramente l'acquisto e che a breve entrerà nella mia collezione: senza sperimentare, senza innovare, la piaga del nord ha messo a segno un'altro colpo che rimarrà sicuramente nella memoria degli ascoltatori di questo genere e sarà tra i più bei dischi del 2013.
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Dall'Irlanda con furore arriva questo quintetto thrash indiavolato: i Gama Bomb nascono nel 2006 e in sette anni non hanno mai cambiato squadra. Il sound ne sente eccome: i dischi del gruppo sono sempre freschissimi, fatti di puro speed/thrash disimpegnato (un po' come i loro amici Municipal Waste).
Cinque anni dopo Tales from the grave in space i nostri tornano sulle scene con questo nuovo The terror tapes: un disco che come i suoi predecessori vuole semplicemente farci pogare come disperati, senza usare tecnicismi o altri tipi di mezzi. Fin da The wrong stuff, esplosiva opener, veniamo trascinati in un mondo di riff distruttivi, uno più killer dell'altro. Dentro al sound dei Gama Bomb si può trovare un po' di tutto: dagli Anthrax agli Iron Maiden (come in Backwards Bible), passando per altri illustri esponenti dei generi sopracitati. I chorus sono sempre piazzati in modo esplosivo e chiedono sempre, in sede live, un contributo del pubblico. Quasi nessuno supera i quattro minuti di durata, se non per la conclusiva Wrecking Ball. Se la mia breve analisi del sound è stata esaustiva, possiamo passare ai pezzi davvero meritevoli: sicuramente la doppietta We started the fire/Terrorscope (a mio parere i pezzi migliori dell'album, soprattutto la seconda, della quale vi invito a trovare una chicca nell'assolo...), Matrioshka Brain per il suo esplosivo ritornello e, tornando indietro di qualche traccia, sicuramente Backwards Bible.
Insomma, squadra che vince non si cambia: se siete degli appassionati di thrash e di speed infilatevi questo disco nello stereo e non ve ne pentirete, così come se siete ascoltatori più esigenti ma avete voglia di concedervi qualcosa di disimpegnato.
Ultimo aggiornamento: 05 Mag, 2013
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Zackary Stevens: una vita dedicata al metal. Chiunque sa che insieme a Jon Oliva quest'uomo ha cantato gli album del periodo post Criss, che per molti sono l'apice dei Savatage. Costoro però probabilmente non sanno che Stevens, dopo la dipartita dai Savatage, fondò nel 2001 un suo progetto personale: i Circle II Circle, con cui ha pubblicato cinque album. Oggi arriva Full Circle, una raccolta del percorso che la band power metal ha fatto in tutti questi anni (dal 2001, pubblicazione di Watching in Silence, al 2010 con Consequence of Power).
Mi rincresce dire che, purtroppo, questo best-of mostra proprio il fianco della band: tutti i pezzi si somigliano l'un l'altro. Inoltre il formato doppio-cd non aiuta affatto: mi chiedo perché non fare un best-of con un unico cd! Le poche tracks che svettano sono ovviamente quelle dei primi dischi (Watching in Silence e The Circle, per intenderci) e interessanti versioni live ed acustiche che non mancheranno di deliziare i fans della band. Ma questo prodotto, se doveva essere attraente per il pubblico, non è affatto digeribile. Zack & co. hanno davvero sbagliato: è unicamente per veri hard-fans della band (32 pezzi!) e tale è destinato a rimanere.
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Vicious Rumors: uno di quei nomi che alla maggior parte dei metallari fa esclamare "chi??", mentre ad un ristretto gruppo vuol dire una delle ultime bandiere del power/heavy durante l'epoca del grunge. Tra cambi di line-up, crisi e molto altro, la band guidata da Geoff Thorpe torna, a distanza di due anni da Razorback Killer, con questo nuovo Electric Punishment.
Per chi li segue da una vita non dovrebbe essere una sorpresa sentire che la band, dopo molti anni, si è avvicinata a sonorità decisamente più thrashose alla Testament, Heathen e Death Angel. Infatti alla chitarra torna Thaen Rasmussen che suona proprio negli Heathen, ed i risultati si sentono! Chiamato in causa anche il leggendario ex batterista Larry Howe (alle pentole di tutti gli album storici della band) il suono di Electric Punishment si altalena tra un thrash molto melodico e un heavy/power decisamente accattivante. Sin da I am the gun veniamo sparati in un mondo di puro headbanging, che non ci mollerà da qui fino alla fine del disco per le sue trovate, che vanno da cantabili chorus a pezzi acustici "da accendino" (i punti, a mio parere, in cui si nota soprattutto il contributo di Rasmussen). La top track del disco è a mio parere Escape (from Hell), un gran bel pezzo che spazia da ambienti power/epic senza dimenticare la parte thrash/heavy che caratterizza tutto il disco. I nostri esplorano tutte le variazioni possibili del tema, continuando a proporre nuove soluzioni nonostante la parte ritmica sia bene o male la stessa per tutto il disco, fino a pezzi da "anthem" come Togheter We Unite ed Eternally. A chiudere questo nuovo capitolo della ricca discografia c'è anche un'azzeccata cover di Strange Ways dei Kiss, frutto di una sapiente rielaborazione da parte della band.
Che dire, infine? Thorpe e il produttore Juan Urteaga ci hanno preso anche stavolta, con un disco che non lascerà delusi i palati di molti ascoltatori di metallo pesante. La genuinità del sound che sgorga dal cd deriva, a mio parere, dalla bravura nel saper miscelare con saggezza tutti gli spunti che una line-up così variegata può dare (nonostante la parte Heathen sia decisamente udibile!), anche se forse c'è ancora da lavorare su una ritmica che alla lunga potrebbe scocciare le orecchie più fini. Non dimenticatevi che la band si esibirà sabato 11 maggio 2013 al MetalItalia festival: io penso proprio che in quella sede un pensierino d'acquisto su questo Electric Punishment lo farò volentieri, visto che è raro che escano dischi heavy/power così belli al giorno d'oggi!
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Tre anni separano il debut discografico degli Status Minor da questo nuovo disco. Ed evidentemente sono stati tre anni ben spesi vista la qualità raggiunta!
Per chi non se li ricordasse (ebbi l'occasione di recensire Dialog, il primo full lenght) i nostri sono una band progressive metal finnica che strizza evidentemente l'occhio ai Symphony X del periodo d'oro, senza però abbandonarsi a tecnicismi troppo raffinati e preferendo un impatto più diretto con l'ascoltatore.
Per chi avesse avuto l'occasione di ascoltare il loro primo prodotto discografico sarà una sorpresa mettere un disco come Uroboros nel lettore: per quando riguarda le tematiche i finnici restano dei romanticoni, parlando sempre del rapporto uomo-donna con una volontà "esaminatrice". Musicalmente, comunque, siamo su un'altro pianeta: l'opener The Wind è qualcosa che mi ha lasciato completamente spiazzato! Finalmente un bellissimo equilibrio chitarre/tastiere sopra un martellante incedere di batteria e basso, senza contare la bravura di Markku Kuikka, che evidemente in questi anni è andata crescendo. Sapori anche un po' di vecchio power metal ci accompagnano in Hollow, che nel suo tempo regolare non impedisce a un batterista eclettico come Rolf Pilve di sparare alcuni tecnicismi e riprese mica da ridere! Entra qua anche un nuovo elemento: cori ed echi sulla voce che non possono che farci piacere. Andiamo poi su un pezzo invece puramente power come Glass Wall, nel quale possiamo udire un bellissimo lavoro del basso di Eero Pakkanen, strumento che fa da capo a tutto il pezzo. Cominciano poi le ballad: Like a Dream vede la collaborazione di Anna Murphy degli Eluveitie ed è una ballad superclassica, che spezza un po' il ritmo. Qui il disco però si abbassa un po' di livello: ho trovato un po' noiosetta Confidence and Trust, che lascia spazio al piano e alla voce della Murphy in un pezzo bello da ascoltare quando... Si è giù di morale! Scherzi a parte ecco partire invece un pezzo molto più tecnico come Stain, che si rifà decisamente al precedente full lenght senza dimenticare l'interessante parte power di questo nuovo disco. Molto bravi tutti quanti: sei minuti di bei tecnicismi che riprendono anche il tema di The Wind e lo ampliano citando anche i precedenti pezzi. Smile torna su un tono decisamente più poweroso, con un riff fatto praticamente di solo basso! Una trovata curiosa e divertente: molto bello anche il ritornello e il bridge, senza parlare dell'ovviamente fenomenale solo. Eccoci invece ad una bella power-ballad con Flowers Die, che prelude alla suite del disco Sail Away. Questo penultimo pezzo ripercorre praticamente tutto l'album includendo parti power-prog e power-ballad, ed è decisamente ben costruito. Infine, a chiudere il disco, Verge Of Sanity ci investe con una parte power ben costruita per poi sfociare nei pezzi proggeggianti che ci hanno fatto compagnia per tutto il disco.
Tirando i remi in barca: i finnici hanno decisamente fatto un bel lavoro! Non voglio dare un voto troppo alto perché sinceramente alcune parti mi avevano un po' stufato (es. le ballads...), ma spero che questi ragazzi riescano a fare il botto col terzo album. Concludo dicendo che me lo vedrei bene un tour con loro e gli Orphaned Land... Speriamo!
Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 2012
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Come si sa, il "revival" è una pratica spesso adottata nel mondo della musica, specialmente quello heavy metal, per smuovere quel sottobosco di vecchi fans che credono ancora nel potere del metallo pesante, delle borchie e dell'old school. È proprio il caso dei Kryptos, band indiana fondata nel 1998 arrivata al terzo appuntamento con la discografia. È abbastanza curioso scoprire che esiste un ambiente metal underground in una nazione dalle dinamiche complicate come l'India, ed ancora più curioso il fatto che questa band è considerata una punta di diamante di quel piccolo universo metal!
Ma veniamo al disco: nove tracce di purissimo heavy metal, di chiara matrice statunitense, che iniziano a dispiegarsi con l'attacco di The Mask Of Anubis, opener dai ritmi serrati e una voce che mi rimanda agli Angel Witch o ai primi Manilla Road. I Kryptos puntano tutto sul metallo genuino e puro, senza fronzoli, né tecnicismi: le ritmiche sono veloci, quasi thrash a volte, il basso martella come farebbe un fabbro sull'incudine, la batteria segue sempre tempi regolari per causare un headbanging continuo. Il tutto procede diretto e senza troppi complimenti anche con la title-track: un basso più approfondito alla Steve Harris rallegra l'atmosfera fino all'incidere del pesante riff, mentre la voce graffiante del singer fa il resto. Passiamo poi a Serpent Mage, indubbiamente la mia preferita del cd in quanto piena zeppa di citazioni e occhiolini anche all'hard'n heavy e con delle ritmiche decisamente più variegate tra pezzo vero e proprio e ritornello. Le tre tracce successive (Nexus Legion, Eternal Crimson Spires e Spellcraft) non mi hanno convinto molto invece, specialmente per il fatto che il disco inizia a attestarsi sulla monotonia della tecnica del revival, mentre invece Starfall mi ha conquistato per l'epicissima intro e per le continue citazioni all'epic metal. A chiudere il tutto un pezzo come Vision Of Dis, che come il precedente cavalca ancora l'onda epica e riesce comunque a coinvolgere bene l'ascoltatore. Infine l'acustica The Isle Of Voices, un'outro molto bella e suggestiva.
Insomma, i Kryptos non innovano nulla ma suonano decisamente molto bene, per questo saluto quest'uscita come una cosa positiva. I Kryptos, per altro, hanno suonato in svariati festival europei ottenendo un discreto successo, e diventando così la prima band heavy metal indiana ad aver fatto un tour di questo tipo. Insomma, non aspettatevi atmosfere mistico/orientaleggianti: un disco granitico come The Coils Of Apollyon si rivela prelibato per tutti gli amatori del metal più classico.
Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 2012
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Sabina Classen: questo nome basta per descrivere una delle band technical thrash metal più importanti e più sottovalutate in Europa.
Parliamo appunto della leggenda degli Holy Moses, nome che da moltissimo imperversa nei nostri mercati musicali. Da ricordare per perle del calibro di The New Machine Of Lichtenstein, la signora Cassen (ormai non più nel fiore degli anni, ma sempre di un fascino da dura alla Doro Pesch) decide di fare un best-of per i trent'anni di carriera.
L'idea? Buona: riregistrare pezzi vecchi con una nuova band dandogli un suono caratteristico, più moderno e diretto. Peccato che il risultato non sia quello sperato... Un'opener importante come Clash My Soul vi farà immediatamente capire la falsità dell'operazione, per non parlare di altri pezzi importantissimi come World Chaos, SSP 03:40 ma soprattutto l'effetto avvilente su quel capolavoro che è Near Dark. Nemmeno sui nuovi dischi andiamo meglio: Disorder Of The Order perde quella carica genuina che nel 2002 aveva permesso a critica e pubblico di puntare ancora le luci sulla band di Aquisgrana, mentre Symbol Of Spirit si salva leggermente dall'opera di appiattimento complessiva.
Le belle intenzioni c'erano, peccato che il risultato sia stato così scadente... Io personalmente torno ad ascoltarmi The New Machine of Lichtenstein e a sperare che questa sia solo una pausa temporanea, fiducioso che la signora del thrash metal torni a sfornare nuove perle come almeno sei anni fa.
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I Bigrough nascono nel 2010 grazie a un'idea del frontman Alex Cole, appassionato rocker di sound d'altri tempi, insieme a Paolo Vendetti al basso e Massimo Cavagnera alla batteria.
Conosciuti inizialmente per l'attività di cover band, sempre legata a un sottofondo blues-rock alla Ac/Dc, il successo riscosso li porta a registrare una serie di inediti dei quali Call of the wild finisce nella compilation di Hard Rock Italia di aprile.
È così che nel 2011 viene registrato, in seguito alla collaborazione con la Eagle Booking, l'ep che ci ritroviamo tra le mani.
Certo, ai Bigrough le energie non mancano: i cinque brani che compongono il disco sono una convincente dimostrazione di voglia di spaccare e suonare bene. Spesso però, si pecca di originalità, specialmente in un genere inflazionato come quello dell'hard rock: i pezzi sono indubbiamente di grande efficacia e presa sul pubblico, ma non brillano di idee particolarmente complesse, né a livello di musica né a livello di testi.
Da un altro punto di vista non vedo che pretese dovremmo avere da una band che ha semplicemente voglia di suonare hard rock per divertirsi e far divertire: è allora che Hang on Tight! assume un senso logico e una ragione di essere quel che è, cioè un buon demo hard rock che dal vivo spaccherà come pochi. Un appunto di favore lo faccio alla conclusiva Gold Washerman, un pezzo hard'n heavy che spacca decisamente con tutta la sua carica "westerneggiante".
Dal punto di vista dei componenti devo dire che l'unica cosa che non mi convince appieno è la voce di Alex Cole, che sarebbe molto più coinvolgente se andasse a registri più alti... D'altronde immagino che suonare e cantare contemporaneamente, specialmente agli inizi della propria carriera, sia abbastanza complicato.
Che dire, in conclusione? Staremo a vedere cosa combinerà questo scatenato terzetto, mentre raccomando l'ascolto a qualsiasi buon fan di Ac/Dc e Airbourne.
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Con Speed Of Sound e Plenty Of Power, usciti nel 1999 e nel 2001, si consolida il cerchio thrash/heavy degli Anvil. L'evoluzione musicale della band di Steve Lips porta a nuovi orizzonti, fatti di sound estremi (addirittura il blast-beating... Progenitori dell'Abbathiano heavy/black?) e testi disimpegnati.
I dischi usciti ancora sotto all'ala della Hypnotic records presentano però una differenza: se Speed of Sound resta ancorato ai vecchi standard dei precedenti platter, Plenty of Power cerca di recuperare un suono più "old school". Ascoltandoli vi renderete conto di quello che sto dicendo: nel primo a volte Steve & co. osano troppo, introducendo gli elementi estremi di cui parlavo prima, mentre nel secondo restano ancorati a sani canoni hm vecchio stile.
I pezzi dove potrete notare di più queste differenze sono No Evil (che include tastiere e il famigerato blast-beating) e la title-track del secondo disco. Entrambe racchiudono lo spirito dei dischi che rappresentano, con tutto ciò che ne consegue: come nel caso dei due album precedenti, i nuovi Anvil si limitano a una prova non troppo esagerata compositivamente nonostante i nuovi azzardi tecnici.
Per carità, non siamo di fronte a dischi da stroncare... Pur nei loro difetti non sono di quelli che toglieremmo dal lettore dopo dieci secondi di ascolto. Eppure SPV/Steamhammer, come dicevo nella precedente recensione, ha dato la possibilità di scoprire questo periodo nel bene o nel male che sia. Il quartetto immortalato in questa lussuosa confezione doppio cd vi permetterà di capire meglio che fine hanno fatto le vecchie glorie dell'heavy metal classico, ma, per godervi i loro lavori, meglio puntare sempre sulla parte iniziale della discografia.
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