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Opinione scritta da MASSIMO GIANGREGORIO

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    05 Novembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 05 Novembre, 2022
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Ottimo EP d'esordio per i Wildfire, cinque ragazzi ateniesi formatisi davvero di recente (2019) all'ombra della Acropoli più famosa del mondo. Non è la prima volta che mi trovo al cospetto di una release proveniente dal paese ellenico e devo dire, ad onor del vero, che - come nelle volte precedenti - sono rimasto favorevolmente impressionato dal lavoro svolto in sala di incisione dai metallers greci, i quali hanno dimostrato di aver ben assimilato e metabolizzato il verbo metallico più ortodosso. Anche nel caso di questi epigoni del fuoco selvaggio, infatti, ci viene proposto un Hard'n'Heavy di tutto rispetto, molto ben composto ed altrettanto ben suonato: la band non mostra punti deboli e fa il suo prepotente ingresso nel metalrama internazionale mostrandosi ben compatta e sinergica nel propugnare la fede che noi tutti professiamo con orgoglio e fierezza. Sugli scudi gli assoli: veramente pregevolissimi e tecnicamente sopra la media; l'ugola del frontman William Joestar si difende più che bene, senza mai sbavature o cedimenti; i riffs sono tanto semplici quanto d'impatto; il duo ritmico è granitico e preciso; il sound è roccioso e senza fronzoli. Le quattro tracce dell'EP si rivelano assolutamente convincenti e lasciano presagire un futuro più che roseo per questo monicker del sud-est europeo che, in linea con le peculiarità della loro gloriosa terra, sotto la dura scorza dell'involucro generato dalla loro musica, celano uno scrigno di tesori nascosti che ripagheranno certamente tutti coloro che si prenderanno la (piacevole) briga di andarlo a scovare, quasi come novelli Indiana Jones del metallo. Di rilievo, senza tema di smentita. Ne sentiremo parlare a lungo.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    29 Ottobre, 2022
Ultimo aggiornamento: 29 Ottobre, 2022
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Ci sono dei meccanismi psicologici per cui si creano cosiddette associazioni di idee: sentendo una parola, inconsciamente e quasi meccanicamente la mente associa ciò che quella parola rappresenta con un altra rappresentazione di un'altra persona, un altro oggetto, un'altra idea, un altro concetto e così via. Nel caso di Herman Frank, la associazione di idee è con i mitici Accept. Certo, la stessa cosa vale per Udo Dirkshneider, ugola al vetriolo che ormai da tempo sta proseguendo egregiamente la propria carriera solista supportato dal figlio batterista. Certo, quando hai letteralmente fatto la storia del metallo per decenni, la band con la quale lo hai fatto ti rimane cucita sulla pelle e nell'anima per sempre. Purtuttavia, come si suol dire "the show must go on" e bisogna sempre guardare avanti, proiettarsi nel futuro con focus positivo e costruttivo. E, se i risultati sono questi, non c'è minimamente da temere che possa non essere roseo. Il buon Herman, in quel di Hannover, tramava da tempo il come back nell'Olimpo degli Dei metallici e, finalmente, dopo l'aperitivo costituito dai due singoli (estrapolati dalla tracklist sopra riportata) rappresentati dalla opening track e dalla title-track, ora - come novello Zeus - ci scaglia dall'altro questo tonante CD. Ovviamente, per sferrare questo primo attacco, il nostro non poteva che attorniarsi di una vera e propria Metal militia, di gente che potesse vantare un curriculum di tutto rispetto; e così si va da un drummer che ha prestato i propri rudi servigi a Jorn Lande, U.D.O., Primal Fear, Sinner (Francesco Jovino) fino ad una seconda ascia con precorsi nei Victory (Michael Pesin), passando per un vocalist che ha cantato nei Bonfire e persino negli Accept (David Reece). Il risultato non poteva che essere ultra-dirompente: avete presente quei rulli compressori tanto delicati e carini che si usano per asfaltare le strade? Bene, anche voi - dopo l'ascolto di questa release - rimarrete asfaltati! Dalla furiosa opening track, per poi passare alla mega-heavy title-track, non riuscirete a divincolarvi dalle pesantissime spire in cui vi ritroverete subito avvolti, se non quando avrà suonato l'ultimissimo solco di questo full-length di esordio che erutta metallo incandescente come un vulcano sopito per tanti anni che si è improvvisamente destato con una insaziabile voglia di originare terremoti sonori e di sommergere tutto e tutti sotto un tappeto di lava, quasi fosse posseduto da un insano istinto di generare una seconda Pompei in pieno XXI secolo. E che dire di "Destroyers of the Night" o l'incazzatissima "Fear No Evil"? Come commentare la valanga di assoli al fulmicotone di cui è infarcito l'album? Come appellare un tappeto sonoro incessantemente distruttivo creato da una sezione ritmica superlativa? Come definire i duelli d'ascia dispensati a piene mani lungo tutta la release? Un debut album tostissimo come pochi, in grado di sviluppare gradi Richter e Mercalli a più non posso, facendovi tremare le mura e le budella come se non ci fosse un domani. Un vero "must have"!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    22 Ottobre, 2022
Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 2022
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I quattro dell’attacco di cuore (probabilmente la band preferita dai cardiologi… E cala il gelo…) sono attivi dal 2006 e sono una delle numerosissime bands che hanno avuto origine nella nazione dei nostri beneamati cugini d’Oltralpe, la Francia e – precisamente – a Cannes, ben nota a tutti per il festival del cartone animato (….vabbè, oggi sto in vena di battutacce…). Hanno esordito con un EP ("Lullabies for Living Dead") nel 2009, per poi partorire il debut full-length ("Stop Pretending") nel 2013, al quale ha fatto seguito nel 2017 la seconda fatica in studio, "The Resilience". Dopo una raffica di singoli, giungono a noi con questo CD il cui titolo non lascia presagire niente di buono. E difatti, fin dai primi solchi, capiamo che qui sono botte serie (of course, musicalmente parlando); e sì, perché quello che contraddistingue questo combo transalpino è un mix mortale di Thrash old style a tinte fosche, di quelli che non lasciano nessuna speranza al malcapitato ascoltatore: impatto devastante, martellamento a mo’ di maglio impazzito e grandissima potenza. È come se ti spalmassero della lava incandescente sotto i piedi mentre stai correndo per scappare da un pericolo immanente, cagionando una accelerazione così repentina da farti sfiorare (appunto) l’attacco di cuore! C’è, invero, un bel po’ di Slayer in questo album (ma, d’altronde, come si fa a non pagare dazio alle divinità della musica ultra-violenta?), sia pure intrecciato con spunti stile old Bay-Area (Testament, Exodus, Nuclear Assault, etc.) e con aperture melodiche (specie negli assoli, sempre pregevolmente variegati) ben dosate e ben incastonate nel muro sonoro edificato su riffs davvero schiacciatutto, ben congegnati e che ti cingono d’assedio il cervello fino a mandartelo in pappa! Quanto alla tecnica, beh questi four horsemen francesi ne hanno davvero da vendere, risultando assolutamente convincenti e convinti dal primo fino all’ultimo solco (nientedimeno che una cover degli eterni Genesis), lasciandoti in un bagno di sangue, sudore e birra.
Imperiosi!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    09 Ottobre, 2022
Ultimo aggiornamento: 09 Ottobre, 2022
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I Moonspell sono in circolazione da parecchio tempo, visto che questo quintetto di Lisbona ha mosso i primi passi nell’ormai lontano 1992 e vanta una discografia davvero molto nutrita. Diciamo che questa ultima produzione (of course, solo in ordine di tempo) può costituire una buona occasione per familiarizzare un po’ con questo gruppo – a mio avviso – un po’ troppo sottovalutato, forse perché si è sempre mosso tra le pieghe di un genere (il Gothic a tutto tondo) che, tradizionalmente, non ha mai riscosso clamorosi successi. Eppure si tratta di una sapiente mistura velenosa tra sonorità ed atmosfere tipiche della Dark Wave anni ’80 ed il Gothic Metal, quasi a voler realizzare una pozione venefica che, solo apparentemente, penetra silenziosamente ma ineluttabilmente nelle orecchie, nel cervello e nell’anima, oscurandola lentamente ma inesorabilmente. Non a caso, ho scritto di “Gothic a tutto tondo”: i nostri cinque lusitani sanno ricreare delle “dark sensations” come pochi, non limitandosi al solo sound, ma arricchendo le loro performance on stage in maniera sorprendentemente coerente. Prendiamo il caso proprio di questa loro ultima fatica: il solo fatto di aver deciso di tenere un concerto nella Grutas de Mira d’Aire, famoso sito naturalistico del Portogallo, complesso di grotte posto a circa 110 km a nord di Lisbona, che consistente nella intera tracklist della loro ultima produzione - il full-lenght “Hermitage” -, è di per sé un evento non di poco conto. Le sonorità che ne sono scaturite (appunto, cavernose) conferiscono ancora maggiore suggestione a dei brani già abbastanza oscuramente introspettivi e meno fruibili di quanto non possa sembrare. La risposta dei loro accoliti accorsi nella cavità (ovviamente, in numero non certo considerevole, rispetto a quello che si sarebbe potuto registrare in uno stadio o un locale) è – giustamente - entusiastica ed alla fine si viene a creare una situazione ai limiti del magico, di un sortilegio in nero, davvero molto particolare. Non c’è che dire: quando il genio incontra il talento, i risultati sono sempre di altissimo profilo. Senz’altro da acquistare e sperimentare.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    01 Ottobre, 2022
Ultimo aggiornamento: 01 Ottobre, 2022
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E' con orgoglio ed un po' di emozione che mi accingo a recensire l'ultimo masterpiece di una delle monsters-band planetarie più importanti. Quello dei super gruppi è - da sempre - un mito che affascina ogni adepto di un genere musicale, quale che sia. Nel caso dell'Hard & Heavy, si sfiora la venerazione, da parte dei fans sparsi in tutto il globo terracqueo. E lo si capisce bene al solo pronunciare il divino nome di Sua Maestà Glenn Hughes! Nel caso del vostro umile recensore, un po' come quando chiedi ad un bambino cosa vorresti fare da grande, da sempre, se avessi potuto esprimere i famosi tre desideri, avrei sicuramente espresso quello di cantare e suonare il basso come lui! Per carità, mi rifiuto di pensare che ci possa essere anche uno solo di voi che davvero non sappia chi sia. Sarebbe vera e propria eresia! Roba da anatema Rock! Oddio, non che gli altri nomi dei componenti della band siano da meno: già gli stessi fondatori del gruppone (Jon Stevens e David Lowy nel 2012 erano rispettivamente cantante solista e chitarrista molto affermati). A loro si sono affiancati tanti artisti di assoluto livello, rendendo la band un esperimento work in progress, ma sempre e comunque vincente. Dall'omonimo debut - album targato 2013, al quale hanno fatto seguito nel 2015 "Revolución", nel 2016 "Make Some Noise" (con l'ingresso dell'ex Whitesnake e Dio Dough Aldrich e, nel 2018 "Burn It Down"), è stato un costante inanellamento di pietre miliari del Rock duro. Ma la svolta nella svolta arriva nel 2019, allorquando si unisce alla già titanica band Glenn Hughes con cui realizzano, nel 2021, l'immenso "Holy Ground" ed ora questo "Radiance" nuovo di pacca. Ad esprimere un giudizio sulle autentiche dieci gemme che si incastonano in questa release semplicemente megagalattica, si rischia la lesa maestà, tale e tanta è la levatura stratosferica delle tracce. Un album che rasenta la perfezione assoluta, in cui trovare il classico pelo nell'uovo è impresa davvero ardua. Già dall'outtake della opening track capisci di essere improvvisamente entrato nell'occhio di un ciclone musicale, fatto di potenza elettrica di gran classe, avvertendo un brivido lungo la schiena ed una scarica nelle ossa che non ti abbandoneranno più se non all'ultima nota della conclusiva "Roll on". Un'overdose di adrenalina purissima, che dura - senza cali di intensità - per tutto il CD, durante l'ascolto del quale ti scoprirai a dimenarti come raramente hai fatto in vita tua, letteralmente rapito dalla voce imperiosa e divina di Glenn e da tutto il contesto unico in cui i The Dead Daisies ti avranno catapultato. Ho perso il conto di quante recensioni ho scritto, ma qui sono in grande difficoltà perché vengo messo nelle condizioni di dovermi limitare a tessere solo ed esclusivamente delle sperticate lodi nei riguardi di veri e propri mostri sacri, che (sicuramente senza volerlo fare appositamente) mostrano tutta la loro grandeur, tutta la loro classe adamantina con la nonchalance di chi, semplicemente, è così, ce l'ha nel proprio DNA il fatto di essere un combo stratosferico: semplicemente titanici!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    24 Settembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 2022
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Parliamoci chiaro: come noi italici, anche i nostri "cugini" spagnoli sono vittime di una sequela di triti e ritriti luoghi comuni; noi siamo perseguitati da pizza, spaghetti, mandolino ed altre irritanti amenità del genere, loro sono da sempre accostati a corride, sangria, paella, flamenco e così via. Se poi spostiamo il focus in ambito Hard'n'Heavy, la nazione iberica risulta essere tra le più avare in assoluto di talenti metallici; personalmente mi vengono in mente i Baron Rojo e pochissimo altro (ma sarà certamente un mio limite...). Ebbene, in Alcorcón, molto prossima a Madrid, nel 2016 prendono vita gli Invaders, classico quintetto che ha forgiato nel sacro fuoco del metallo il primo EP denominato (devo dire, ad onor del vero, in maniera moooolto originale), "Metal Madness". Ha fatto seguito il singolo "Endless Wait" dello scorso anno e poi gli altri due singoli (antipasto di questo "Beware of the Night" da cui sono stati estratti) "Spin the Roulette" e "Redhead Lady". La formula proposta dai nostri cinque è tanto semplice quanto efficace: sano, puro e duro Metal tradizionale, ben composto e ben suonato. Ben composto perché le linee melodiche si appalesano dirette, senza troppi fronzoli, con il classico riff che acchiappa, ritornello altrettanto acchiappone. Ben suonato perché articolato su esecuzioni essenziali e mai ridondanti, adagiate su una sezione ritmica spaccatutto ed a metronomo, un wall of sound di chitarrone nitido e possente impreziosito da assoli a duello del tutto apprezzabili (per tecnica e varietà) senza mai essere stucchevoli né scontati. La opening track è bella piazzata secca come un uppercut, con un finale in cui (doverosamente) i cinque pagano dazio alle loro origini, lasciando spazio ad un gradevolissimo arpeggio di chitarra classica in puro Spanish-style. A ruota, i due singoli sopraccitati, altrettanto godibili in termini sia melodici che tellurici. "Crimson Fate" entra a gamba tesa con un riffaccione niente male, per poi lasciar esaltare le indubbie doti canore di Sergio, che sembra rinverdire i fast dei vocalist dei vari King X, Crimson Glory, Samson e compagnia bella. La strumentale "Visions" ci regala una performance leggermente più tecnica e ricercata (quasi alla Steve Vai), ma pur sempre dall'approccio durissimo. La cavalcata prosegue senza requie fino alla lunga final track con intro classicheggiante/spagnoleggiante che poi confluisce in una semi-ballad struggente e ricca di spunti interessanti. Non c'è che dire, questo è un gran bell'album, che "si lascia ascoltare" e ci fa godere al punto giusto dandoci ancora una volta ampie rassicurazioni sul fatto che il nostro beneamato metallo avrà ancora vita lunghissima. E bravi Invaders!

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    10 Settembre, 2022
Ultimo aggiornamento: 11 Settembre, 2022
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Ennesimo capitolo discografico per la saga dei Mad Max, band ispirata al celebre film interpretato da Mel Gibson (con la partecipazione straordinaria di Tina Turner nel terzo), la cui ambientazione annoverava la Thunderdome, che per anni ho utilizzato per dare il benvenuto ai miei ascoltatori durante il mio programma radiofonico hard 'n' heavy. Ma ora basta con le memorie e passiamo a recensire questo full length (il quindicesimo!) di un monicker che tanto ha dato e sta ancora dando alla causa del metallo. E' dal lontanissimo 1981, infatti, che questi quattro ragazzoni tedeschi provenienti dalla Westfalia (più precisamente da Munster) partoriscono creature fatte di puro metallo e, nonostante abbiano già eruttato fiumi di rock durissimo, hanno ancora qualcosa da dire, eccome! Questo album è composto da undici gemme dure come diamanti, a dimostrazione - semmai ve ne fosse stato bisogno - che siamo al cospetto di un quartetto inossidabile, per il quale il tempo sembra che si sia fermato e la cui vena compositiva sembra davvero inesauribile. Apre le ostilità "Too Hot to Handle", che mette subito le cose in chiaro: i Mad Max fanno (ancora) maledettamente sul serio e sono tornati per picchiare duro sui padiglioni auricolari, senza la benché minima intenzione di smettere. La successiva "Days of Passion" prosegue sulla scia di un songwriting molto efficace, che sa bilanciare sapientemente melodia, potenza e tecnica: gli assoli di Jürgen non sono affatto male, concisi e sempre ben misurati, senza mai debordare in virtuosismi apprezzati ma un po' fini a sè stessi ai quali tanti axemen ci hanno abituati (denotando un ego incontenibile ed ingombrante). Cori sempre ben calibrati e piazzati nella struttura di ogni pezzo, anche nella molto catchy "Best Part of Me", che rappresenta, insieme alla seguente "Rock Solid" la parentesi un po' più AOR (Adult Oriented Rock) del disco. Con "The Stage Is for You" si torna a modalità più toste, così come le restanti tracce proseguono sulla medesima falsa riga, mantenendo sempre uno standard elevatissimo sotto l'aspetto compositivo, confezionando un lavoro di assoluto livello che continua a consacrare i Mad Max nell'Empireo del panorama metallico mondiale. Un'ennesima, graditissima conferma che lascia presagire una strada lunga e costellata di release tutte da gustare scuotendo la capoccetta a più non posso, sì ma con classe.

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    27 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 2022
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Sappiamo bene che la terra ellenica non è mai stata prodiga di talenti metallici, essendosi limitata a pochissimi monicker che sono riusciti ad emergere dal sottobosco delle bands volenterose, ma che – per un motivo o per l’altro – non sono riuscite a varcare i confini nazionali ed a diffondere il credo dell’Heavy nel globo terracqueo. Se poi restringiamo il focus alle già rare one man band, siamo a livello di vere e proprie mosche bianche (vedi i vari Quorthon e Xhastur) già a livello mondiale, figuriamoci a livello locale. Ebbene, non si sa bene dove, né quando, è saltato fuori praticamente dal nulla questo Anyloss, polistrumentista che – devo ammettere – ha tirato fuori un bel po’ di idee e concetti che, in ambito Epic Metal, non si sentivano da parecchio tempo. Certo, ai greci viene facile trattare di gesta mitologiche e di leggende risalenti alla notte dei tempi, per quanto ne è permeata la loro storia e la loro cultura ma tradurre tutto ciò in un album (peraltro di debutto) non è affatto roba da poco. Sei pezzi quelli che compongono questa release, tutti ben assortiti a livello di songwriting: ci sono tutti gli elementi tipici del genere, a partire dalla solennità degli inserti tastieristici fino alla maestosità delle trame musicali, passando attraverso i testi pregni di rievocazioni di gesta in battaglia, riferimenti ad antiche divinità ed a luoghi dimenticati dalla storia. L’unica pecca è rappresentata dal cantato: la voce di Anyloss risulta alquanto lamentosa, con uno stile vocale lontano anni luce, non dico dal comunque inarrivabile Eric Adams dei mostri sacri del genere (Manowar), ma nemmeno accostabile a quello di J.D. Kimball dei primissimi Omen: peccato, perché se ne avverte la mancanza lungo tutto l’arco della release. Certamente non è un caso che, su sei tracce, figurino ben due strumentali ("Aeon" ed "Ageless"). Fossi in Anyloss, cercherei di sopperire a questa grossa mancanza reperendo un vocalist all’altezza della situazione (e magari, perché no, utilizzando dei cori lirici alla Angelic Aeon Project) in grado di conferire al tutto quella giusta e corretta dimensione che si addice all’Hard’n’Heavy di matrice epica che – se ben interpretato – raggiunge vette altissime di godimento e che consentirebbe al nostro di completare un percorso che, allo stato attuale, sa di incompiuto, ma che (con gli opportuni correttivi) potrebbe apportare un nuovo, importante adepto alla sacra causa dell’Epic Metal.

NdR: Il disco è uscito anche in audiocassetta su True Cult Records

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    25 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 2022
Top 50 Opinionisti  -  

Il nome della band - Conan - fa venire subito in mente la figura mitologica interpretata sul grande schermo dall’altrettanto mitico Arnold Schwarzenegger, quando era ben lungi dall’intraprendere la carriera politica che lo avrebbe portato a diventare il governatore della California. All’epoca era conosciuto soprattutto per i suoi trascorsi di culturista ed essere stato incoronato più volte come Mister Columbia, comunque adattissimo per interpretare il ruolo del Distruttore. E qui di un combo distruttore si tratta! Ma non nel senso in cui siamo abituati a concepirlo per le bands di Heavy Metal. Siamo al cospetto di un trio proveniente dalla Terra di Albione, più nello specifico da Liverpool, anche se con i concittadini Beatles non hanno nulla a che fare. E’ dal lontano 2006 che i nostri tre oscuri individui sono avvezzi ad un genere toner/Sludge/Doom Metal alquanto indigesto, per quanto è ruvido e intransigente. Un genere rivisitato a tinte (se possibile) ancor più fosche, spinto davvero all’estremo dell’estremo: sei pezzacci lunghi ed asfittici, senza la benché minima parvenza di spiragli di luce. Eppure i nostri tre sludgers vantano un palmares invidiabile in termini di realizzazioni, visto che sono al quinto full-length intervallato da una sequela di singoli, EP e split (c’è persino un album dal vivo - …oddio…. - del 2012) sempre all’insegna di un sottogenere che definire di nicchia significherebbe adottare un eufemismo.
Dall’ascolto di questa loro ultima release, se ne esce davvero a fatica per quanto è “pesante” in tutti i sensi: atmosfere cupissime (vedi organo distorto nella lunghissima final track) che ti catapultano in lande gelide e spettrali, dove potrebbe tranquillamente figurare la celebre iscrizione dantesca “Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate”. Si spazia dalla sensazione di ritrovarsi in un paesaggio post guerra nucleare a quella di attraversare una fitta foresta nera in una fredda notte invernale: insomma, un vero spasso!
Non vi nascondo che – alla fine dell’ascolto – son dovuto uscire sul balcone per tornare a prendere aria, a respirare in quanto assalito da una angoscia infinita. Ma, forse, era proprio questo l’intento dei Conan con questa loro ultima fatica (invero più che per loro, per chi li ascolta).

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Opinione inserita da MASSIMO GIANGREGORIO    06 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 06 Agosto, 2022
Top 50 Opinionisti  -  

Grandiosi! Non trovo altro aggettivo per descrivere i Civil War. D'altronde, una band che annovera - in maggioranza - degli ex componenti dei Sabaton, non può che promettere quello che è il meglio della quintessenza del Power Metal. E ciò che promette, questo Invaders mantiene in pieno. Una summa del meglio del meglio: composizioni ariose, pompose (al limite del sinfonico), epiche e possenti come si confà alla migliore tradizione del metallo pesante scandinavo. Ancora una volta, la Svezia, è il caso di dirlo, sugli scudi (di combattimento); difatti, è dalle fredde lande vichinghe che provengono i membri di questo quintetto tutto melodia e potenza. All'incirca dieci anni orsono, in quel di Falun/Borlänge, Dalarna, ha preso forma questo progetto tostissimo che è stato capace di concepire ben sei singoli, un EP, due split e ben tre full-lengths, prima di approdare col suo pauroso drakkar a questa ultima fatica in gran spolvero. L'ugola di Kelly (ex-Inner Sanctum, ex-Darkology, ex-Iron Mask, ex-Firewind, ex-Beyond Twilight, ex-Outworld, ex-Moonchild, ex-Prophecy ed ex-chi più ne ha, più ne metta) è qualcosa di straordinario: per estensione, potenza, espressività, interpretazione, è davvero stratosferica come ce ne sono pochissime nel metalrama internazionale. Le asce di Petrus e Thobbe sono affilatissime e sempre pronte al duello all'ultimo virtuosismo, mentre Daniel più che un drummer, assomiglia ad un maglio colossale che pesta durissimo a metronomo. E che dire delle tastiere dell'altro Daniel (anche lui, come il primo, ex-Sabaton)? Semplicemente eccelse, chiamate a conferire ancor più potenza evocativa ed ulteriore epicità ad una lavoro che - a mio modesto avviso - può definirsi senza tema di smentita un "masterpiece of Power/Epic/Symphonic Metal"! Se proprio devo cercare il classico pelo nell'uovo, "Carry On" mi è sembrata leggermente al di sotto della comunque altissima media compositiva e realizzativa dell'opera. Un'opera magna, monumentale, che dovete assolutamente avere nella vostra collezione, anche, perché no?, per convincere chi ritenete a venirla a vedere ed ascoltare....

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