A+ A A-

Opinione scritta da Luigi Macera Mascitelli

508 risultati - visualizzati 91 - 100 « 1 ... 7 8 9 10 11 12 ... 13 51 »
 
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    31 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 31 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Se la ferocia potesse essere chiamata in un altro modo sarebbe sicuramente Wolfbrigade, il quintetto svedese che da trent'anni a questa parte può fregiarsi del titolo di portabandiera del D-beat/Crust Punk svedese più animalesco e oltranzista che ci sia. Una carriera, quella di Micke Dahl e soci, che sembra quasi inarrestabile con un continuo rinnovamento, produzione dopo produzione, che se da un lato resta comunque - e fortunatamente - legato a quegli stilemi, dall'altro riesce sempre a presentarci un gruppo in formissima. Tradotto: i Wolfbrigade dispensano colpi di mannaia e ignoranza senza se e senza ma. Non poteva esimersi quest'ultimo EP intitolato "Anti-Tank Dogs", che con solo tre tracce ed un minutaggio risicato centra perfettamente il punto, ricordandoci anche come questo stile sia poi effettivamente quello a cui tante band più propriamente metal si rifanno. Non è un caso infatti che i Nostri siano svedesi e si riscontrino ben più di semplici punti di incontro con i grandi nomi dello Swedish Death. Ed è proprio qui che i Wolfbrigade si distinguono dalla massa: la loro musica è certamente inquadrabile in determinate coordinate, ma allo stesso tempo è frutto di più esperienze che mischiano Hardcore, Crust Punk, Death Metal ed Heavy Metal, come la terza traccia "Necronomion" testimonia con il suo retaggio Motorhead e Judas Priest. L'ossatura ritmica è feroce ma non per questo scarna o limitata. i Nostri dimostrano perfettamente di essere nei loro territori con un lotto di tracce dal sapore spigliato e diretto ma allo stesso tempo ricercato a modo suo ed estremamente feroce. Tradotto: non vediamo l'ora di un nuovo full-length.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Ci scusiamo per l'enorme ritardo con cui pubblichiamo questa recensione; come si suol dire: cause di forza maggiore. Comunque sia oggi siamo nella nostra penisola per parlare del trio Orgrel, band che, come ogni gruppo Black Metal di nicchia e underground che si rispetti, è avvolta totalmente dal mistero. Abbiamo solo il nome d'arte dei tre componenti e basta; non una singola info su provenienza, età e anno di formazione dei Nostri.
La proposta del trio in questo debutto "Red Dragon's Invocation" targato Iron Benehead Productions è per certi aspetti classica, per altri più innovativa e per altri ancora scontata. Insomma, siamo di fronte ad un disco che, tra luci ed ombre, è comunque in grado di rapire ben più di un'attenzione al suo ascoltatore. Il Black che si snoda in queste sette tracce per poco più di mezz'ora di durata è maestoso, tetro, elegante e pungente. All'inizio potrebbe sembrare quasi un lavoro Post-Black degli Harakiri For The Sky, con quell'andamento quasi sognante e velenoso e per la voce urlata e straziante. Ma poi, minuto dopo minuto il disco sembra aprirsi come un fiore, rilasciando ogni nota olfattiva che all'inizio era celata. Ecco dunque che le pennellate classiche che ricordano vagamente i primi Marduk, Gorgoroth e la scena degli anni '90 si rivestono di influenze più moderne che strizzano l'occhio alla scuola ucraina dei Drudkh, fino a quella americana dei Uada in un continuo saliscendi di sensazioni opposte: rabbia, calma, furia, eleganza... A conti fatti possiamo dire che il trio italiano abbia saputo giocare molto bene le proprie carte imbastendo un'opera che solo all'inizio sembra superficiale ma che lentamente riesce a penetrare più in profondità. Ma, come dicevamo all'inizio, c'è anche un aspetto piuttosto negativo in questo "Red Dragon's Invocation", ossia la tendenziale ripetitività delle strutture musicali ed una certa banalità in quei passaggi che sanno più di anni '90. Se per la seconda non c'è molto da dire, per la prima bisogna far notare qualcosa in più. Ora, se dovessimo prendere il disco nella sua assolutezza d'insieme sembrerebbe quasi un'opera impeccabile e innovativa a modo suo. Tuttavia è ad un ascolto più attento che si scorgono i punti negativi: i brani -fortunatamente non tutti - seguono lo stesso pattern fatto di sezioni cadenzate simil-Black'n'Roll e sfuriate "trVe" in tremolo picking con tappeto di batteria intervallate qua e là dalle parti più epiche e battagliere. Stop. Cambia l'ordine ma siamo sempre su quel terreno di gioco. Il che potrebbe anche starci bene se non fosse che si nota troppo spesso per buona metà del disco. È invece nelle ultime tre tracce che gli Orgrel danno il meglio di sé, come se questo ordine schematico venisse meno in favore di una bruciante ed istintiva passione. Un vero peccato se pensiamo che si tratta solamente di pochi minuti rispetto all'intera durata dell'album. In generale, dunque, il debutto dei Nostri si configura come potenzialmente validissimo e con tante ottime idee al suo interno. Comunque vogliate vederla è sicuramente un'opera bella a modo suo ed in grado di rapire l'ascoltatore.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    23 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Ed eccolo finalmente il salto di qualità per gli statunitensi Carrion Vael, una nostra vecchia conoscenza che giunse sulle nostre pagine nel 2020, anno di pubblicazione del secondo disco. Già allora si sottolineava la loro devozione verso i The Black Dahlia Murder e di come questi ultimi fossero la principale influenza compositiva per il quintetto dell'Indiana. Insomma, di potenziale ce n'era ma ancora troppo relegato ad uno stile citazionistico. Le cose fortunatamente sono cambiate due anni più tardi con questo terzo lavoro intitolato "Abhorrent Obsessions" che, oltre ad essere il disco della consacrazione, decreta l'ingresso dei Nostri nel roster di Unique Leader Records, il che qualitativamente parlando significa non poco.
Dicevamo come i Carrion Vael musicalmente parlando rientrino perfettamente nel filone del cosiddetto US Melodic Death Metal, ossia una frangia figlia degli svedesi At The Gates ma con una maggiore attenzione alla tecnica e ai riff più arzigogolati: vedasi per l'appunto gente come TBDM, Inferi, Arsis e compagnia bella. Da qui ne segue come i Nostri si siano trovati davanti una sfida difficilissima: quella di scrollarsi di dosso l'etichetta di band "copia/incolla" dei gruppi succitati e, di conseguenza, offrirci un lavoro degno di tale nome che porti la firma della band. Compito ampiamente riuscito, lo diciamo subito. Questo "Abhorrent Obsessions" è un disco ferocissimo e ipertecnico ma con un ventaglio di opzioni molto più ampio ed eterogeneo, tanto da poterne scorgere ben più di semplici pennellate derivanti dai finlandesi Mors Principium Est, soprattutto lungo le melodie che risultano tristi, oscure, disperate ma elegantissime. Da qui ne segue come i Nostri abbiamo certamente mantenuto la loro matrice originaria, proponendoci dunque un lotto di tracce dal sapore perfettamente riconoscibile; tuttavia se nei capitoli precedenti il solco dello US Melodeath era già battuto, ora ci troviamo in una strada quasi del tutto nuova, fatta certamente di riffoni di chiara ispirazione TBDM, ma da intendersi come omaggio e non più copia/incolla. Anzi osiamo dire che questa volta il quintetto sia voluto andare oltre a livello tecnico, tanto da riscontrare punti di incontro con gli Inferi - notoriamente più arzigogolati dei TBDM - e con il filone Progressive Death dei tedeschi Obscura. Insomma, è evidente che il cambio di label da un lato e l'evidente lavoro di stravolgimento e rifinitura dell stile abbiano entrambi giovato nella realizzazione di questo "Abhorrent Obsessions": il disco, lo ripetiamo, che consacra i Nostri tra i nomi di punta del genere. Chiaro, non si può gridare al capolavoro, soprattutto lungo quelle sezioni che un po' tornano sui vecchi passi dei precedenti dischi o, di contro, si perdono in giri a volte un po' troppo prolissi. Ma si parla di nei che ai più sfuggiranno sicuramente. Album promosso in pieno!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    14 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 14 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

E finalmente ci siamo, l'album più atteso del 2022 è uscito e con esso i miliardi di commenti e pareri contrastanti: stiamo parlando di "Days Of The Lost", debutto del super gruppo The Halo Effect formato da tutti ex-membri degli In Flames, tra cui il mitico Mikael Stanne dei Dark Tranquillity alla voce - che cantò nel primo disco degli In Flames "Lunar Strain" -. Viene da sé, dunque, che c'erano delle enormi aspettative considerando il calibro dei componenti, tutti appartenenti alla cerchia dei padri indiscussi del Melodic Death scandinavo degli anni '90, il cosiddetto "Göteborg style". Aspettative che, vogliamo dirlo subito, non sta certamente a noi stabilire se siano state rispettate o meno. Parlare di una band del genere e di un lavoro del genere è difficilissimo: vuoi per la caratura dei personaggi che vi sono dentro, vuoi per la classe, l'eleganza e lo stile che ne derivano, vuoi anche per l'ascoltatore, dal più nostalgico al più moderno... Insomma, come dicevamo all'inizio, ci sono un miliardo di pareri discordanti in merito, nessuno più giusto o sbagliato dell'altro. Ciò che tuttavia si può dire in merito ai The Halo Effect è che un loro disco te lo aspetti esattamente per quello che è: un grande classico che omaggia in pieno i primi anni 2000 con vibrazioni di In Flames e Dark Tranquillity. Del resto sarebbe stato impossibile ed intellettualmente disonesto aspettarsi qualcosa che esulasse completamente dalle succitate band. Eppure possiamo aggiungere che non siamo di fronte ad un mero citazionismo fine a se stesso tanto per tirare acqua al proprio mulino: "Days of the Lost" sa essere a modo suo un lavoro degnissimo di nota con una personalità tutta sua e pregno della maestria di chi un genere l'ha inventato. Del resto con un duo come Strömblad ed Engelin alle chitarre cosa ci si poteva aspettare? Esatto, dei riff che sembrano dirti "ragazzi, c'è poco da fare, siamo noi il Melodic Death e voi zitti dovete imparare". Stessa cosa per il leggendario Stanne, che tra Dark Tranquillity, Grand Cadaver, The Halo Effect e numerose ospitate, si dimostra ancora una volta un vocalist, un artista ed un frontman senza eguali, in grado di dispensare morte e violenza con il suo inconfondibile growl e dolcezza con le clean vocals anche qui presenti e che, sinceramente, forse si potevano evitare. Comunque li si voglia guardare i The Halo Effect hanno il grosso pregio di essere i migliori nel loro genere ma allo stesso tempo il grosso difetto di dover rispondere di questa responsabilità davanti ad un pubblico spaccato esattamente a metà: tra chi li troverà una semplice trovata commerciale che musicalmente non offre nulla e chi, al contrario, non vedeva l'ora di trovarsi davanti dei giganti di questa portata riuniti sotto un'unica grande bandiera. In entrambi i casi non si potranno non percepire i costanti richiami agli In Flames e Dark Tranquillity dei primi anni 2000 riarrangiati in maniera intelligente: dieci tracce che sanno di “Colony”, “Fiction”, “Soundtrack To Your Escape” e “A Sense Of Purpose”, senza tuttavia poterne isolare le singole componenti, a testimonianza di come i Nostri siano veramente i migliori in questo senso. Tradotto: se ci volete vedere del citazionismo e basta o una gran trovata liberissimi di farlo.
Da parte nostra i The Halo Effect superano in pieno la prova con una formula classica ma non per questo stantia o fine a se stessa. Se si tratterà di un album da dimenticatoio o destinato a fare la storia solo il tempo ce lo dirà. In entrambi casi si tratta forse del miglior richiamo agli anni 2000 - forse - degli ultimi dieci anni, senza se e senza ma.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
2.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    09 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 09 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Quello che ci troviamo ad affrontare è il classico caso di una band che stilisticamente, strumentalmente e, in generale, musicalmente funziona, ma che ad un orecchio più attento risulta essere, purtroppo, fin troppo ispirata ad altre realtà: stiamo parlando degli statunitensi Prosper Or Perish e della loro terza creatura autoprodotta "Shroud of Serpents". Ora, è doveroso fare una premessa: il Melodic Death statunitense può tranquillamente essere definito come la seconda scuola del genere dopo quella svedese. Grazie a band come The Black Dahlia Murder, Inferi, Arsis, Allegaeon e compagnia bella, quel determinato modo di suonare ha acquisito un'identità tutta sua inglobando elementi via via più tecnici e ricercati. Viene da sé, dunque, che le band americane che si cimentano in questo genere tendano a seguire quei canoni. Tuttavia, questo è il caso in cui il ragionamento non funziona, semplicemente perché tutto il disco e, in generale, lo stile musicale dei Prosper Or Perish è fin troppo uguale a quello dei TBDM, compresa la voce di Steve Stanley pressoché identica a quella del compianto Trevor. Ora, che si tratti di un album tecnicamente ineccepibile è fuori discussione: i Nostri dimostrano certamente enormi capacità compositive o, per meglio dire, di saper imitare alla perfezione i TBDM. Se il sottoscritto non conoscesse la band direbbe tranquillamente che questo "Shroud of Serpents" sia un album di Trevor e soci di metà carriera. Da qui ci sentiamo di non promuovere il disco che, lo ripetiamo, musicalmente è perfetto, ma non ha il minimo di personalità per poter essere definito un lavoro dei Prosper. Piuttosto lo riteniamo, per essere buoni, un omaggio riuscitissimo a uno dei grandi nomi del Melodic Death statunitense. Il consiglio è dunque quello di prendere certamente ispirazione dai maestri ma di elaborare poi uno stile più personale considerando anche la propensione all'eterogeneità di questo genere. In bocca al lupo ragazzi!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    09 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 09 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Ignoravo totalmente l'esistenza dei Dinbethes, one-man-band olandese nata dalla mente del mastermind J. che, come ogni realtà Black Metal di nicchia che si rispetti, è totalmente circondata da un'aura di mistero. Tradotto: a parte le pochissime info contenute nel presskit, non ci è dato sapere nient'altro, nemmeno i nomi di chi vi ha collaborato. Comunque sia, i Nostri debuttano con questo "Balans" sotto l'egida di Babylon Doom Cult Records e, vi anticipiamo subito, si tratta di un lavoro che potenzialmente ha degli ottimi spunti. Sul piatto, dunque, abbiamo cinque brani per circa 35 minuti di durata in cui il buon J. si cimenta ad esplorare i lidi atmosferici del Black Metal tinteggiando costantemente la sua proposta con pennellate vicine al Raw e alla scuola polacca. In definitiva potremmo dire che siamo all'interno di stilemi certamente conosciuti ma che qui offrono comunque buoni spunti all'ascoltatore, soprattutto in quelle sezioni dove le chitarre velenose - e molto basilari - entrano in quei loop ipnotici che creano lentamente l'illusione del nulla sopra il quale la mortifera voce del vocalist si staglia come uno scoglio sul quale si infrangono le onde. Ma, se da una parte ravvisiamo anche una certa maestria nel sapersi muovere in questi territori, dall'altra è palese l'ombra della ripetitività e, cosa più importante, una sensazione quasi di "impasto", come se la produzione non fosse riuscita a dare ad ogni strumento il suo giusto spazio preferendo invece buttare tutto dentro il calderone. Viene da sé che i punti negativi siano sicuramente maggiori di quelli positivi e non vi biasimiamo se durante l'ascolto vi verrà voglia di interrompere l'esperienza. A ciò, dicevamo, si aggiunga anche un songwriting tendenzialmente basic che poteva funzionare forse vent'anni fa, o comunque si sarebbe potuto sfruttare meglio. Ok la semplicità, nessuno la odia, anzi spesso meno è meglio di più; ma qui si rasenta fin troppo spesso il banale con pochissimi guizzi che, lo ripetiamo, ci fanno ben sperare nel futuro della band.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    02 Agosto, 2022
Ultimo aggiornamento: 02 Agosto, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Signori, vi presento l'album Deathcore dell'anno: "Monarch", disco di debutto dei catalani Mankind Grief che DEVE necessariamente rientrare nel bagagliaio culturale di chi, oggi, vuole cimentarsi nel suddetto genere. Ora, del quartetto il sottoscritto ignorava totalmente l'esistenza, anche perché i Nostri alle spalle hanno pochissimo materiale che consta di due soli EP usciti in otto anni di carriera. Comunque sia, basta premere il tasto "Play" per rendersi conto che la band sia la classica perla rara che trovi in un mare sconfinato di piattume e roba tutta uguale. Il Deathcore imbastito da Isaac Green e soci è semplicemente devastante, potente in ogni suo aspetto e carico di una furia omicida che annichilisce ogni cosa sul suo cammino. Fortissimo dell'influenza dei Brand Of Sacrifice, il disco si dirama all'interno di un comparto ritmico che lascia spazio a zero dubbi: riff articolati e distruttivi sorretti da un comparto ritmico e melodico che rasentano la perfezione e la follia. Più volte sembra di imbattersi in una traccia della colonna sonora di Doom ad opera del geniale Mick Gordon, con quelle ritmiche simil-Djent che tuttavia spaziano tra i canoni classici del Deathcore fino a toccare più volte le bombe atomiche Slam. Non c'è una traccia che sia una a presentare il minimo segno di cedimento: a tal proposito vi invitiamo ad ascoltare "Planetary Inquisition" o la successiva title-track "Monarch". A nostro giudizio i due brani che, tra i nove proposti, meritano davvero la lode. Ecco, se esistesse un manuale su come si debba suonare il Deathcore di oggi, verrebbero sicuramente citate. Dalle vocals feroci di Isaac Green, che molto condivide con lo stile canoro degli olandesi Distant, fino alla combo Gòmez/Fornies alle asce che ci regalano un riffing oltremodo superlativo in ogni aspetto. Maturità, classe, ferocia, follia assassina, distruzione totale... tutto in questo "Monarch" trova la sua quadra e l'equilibrio perfetto. Discone da incorniciare e da tramandare ai posteri. Complimenti!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    25 Luglio, 2022
Ultimo aggiornamento: 25 Luglio, 2022
Top 10 opinionisti  -  

C'erano grandi aspettative per questo "Nail Below Nail", terza fatica dell'act neozelandese Organectomy. Una band che in dodici anni di attività è riuscita a ritagliarsi un ruolo di primaria importanza all'interno del panorama Slam/Brutal Death; e chi ascolta il genere sa quanto sia difficile emergere da una frangia del Death nella quale un buon 90% di gruppi propone sempre la stessa roba. Ecco, raccogliendo il retaggio di gente navigata ed esperta del settore come Abominable Putridity, Disgorge, Analepsy e Devourment, i Nostri con due album - e quello che andremo a vedere - hanno sviluppato un marchio tutto loro che sa prendere elementi tipicamente Slam ed altri più vicini al Brutal odierno per poi definire una linea guida. Da questo percorso, infine, è uscito fuori il qui presente "Nail Below Nail": disco, lo diciamo subito, che si configura il migliore della carriera del quintetto per i più svariati motivi. In primis potremmo far presente l'estrema maturità e competenza che Alex Paul e soci hanno dimostrato all'interno di un disco estremamente tecnico da un lato ma mai fine a se stesso dall'altro. Tradotto: non si tratta di una cieca dimostrazione di forza, per quanto trattasi di un album violentissimo. Al contrario i Nostri preferiscono fornirci un livello certamente altissimo ma sempre e comunque variegato: i passaggi si snodano dalle più classiche bombe nucleari e cadenzate a ferocissimi blast beat, pennellando costantemente il tutto con una maniacale dissonanza di fondo e soffocanti armonizzazioni. Da qui segue la maturità artistica accennata più su: "Nail Below Nail" è, indipendentemente dai gusti musicali, un'opera estremamente completa e raffinata, frutto di un ottimo connubio tra cervello e muscoli. Già, perché se poi vogliamo solamente guardare alla ferocia, beh, certamente qui troverete una carneficina di riff pesantissimi, resi ancora più marci e massicci da una produzione semplicemente perfetta - ULR è sempre ULR -. L'unico appunto che ci sentiamo di portare all'attenzione è quello che, nel bene o nel male, è un po' la firma degli Organectomy: la tendenza ad essere poco snelli sia nella durata che nel numero delle tracce. Ora, posto che molto ma molto difficilmente vi annoierete grazie all'andamento eterogeneo, va detto però che non si tratta di un ascolto semplice. O almeno, non se lo state ascoltando per la prima volta o se siete nuovi nel genere. In entrambi i casi potreste incontrare qualche intoppo, soprattutto nella seconda metà del disco dove, di tanto in tanto, i Nostri si perdono un po' per la via. Ma tolto questo frangente non ci resta che fare i complimenti al quintetto di Christchurch per aver confermato le già ottime impressioni che ci eravamo fatti con gli album precedenti. In sintesi: se volete una band degna rappresentante dello Slam/Brutal Death, gli Organectomy ne sono un perfetto esempio.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    18 Luglio, 2022
Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Avete mai sentito parlare dell’Ordo Ater Anguis? Per chi non lo conoscesse trattasi di un ordine di band Black Metal australiane sulla falsariga dell'Inner Circle norvegese degli anni '90. Con ovviamente le dovute differenze del caso, ma non c'era bisogno di dirlo. Comunque sia, in questo contingente militano, tra i tanti, i Pestilential Shadows, quartetto del New South Wales nato nel 2003 e dedito ad un Black Metal mortifero ed estremamente sentito, completamente coerente con gli stilemi della scuola Australiana e vagamente riconducibili agli ucraini Drudkh e al loro sound atmosferico e mortifero. Dicevamo come i Nostri siano dei fieri portavoce di un certo modo di intendere il Black, ed il qui presente "Revenant", sesto capitolo della band, ne è un più che valido esempio. Ora, i Pestilential Shadows ci hanno sempre convinto, attestandosi su di un livello certamente ottimo ma mai effettivamente eccelso. Tradotto: non si è mai potuto gridare al miracolo con le loro uscite. Potremmo quasi dire che si trovino nel posto giusto al momento giusto. Tuttavia quello che fanno lo sanno fare molto bene, in modo del tutto sentito e naturale, senza orpelli o forzature del genere. Questo è forse il loro miglior pregio, che nel disco in questione permea ogni singola traccia dando all'intera opera una splendida ed elegantissima aura mortifera. Ed è la morte la vera protagonista qui, solenne ed ineluttabile in tutta la sua austerità. Traccia dopo traccia il nero manto della mietitrice ricopre l'ascoltatore immergendolo in un limbo fatto di disperazione, di notte eterna... Scostandosi completamente dalla vena più Raw e oltranzista del genere, Balam e soci, poi, danno un retrogusto atmosferico particolarmente interessante che rende l'opera in questione estremamente legate e, come si diceva più su, vagamente riconducibile alla scuola Ucraina. Certamente non si può gridare al miracolo, soprattutto laddove i Nostri si lasciano andare in soluzioni scolastiche, per non dire scontate. In generale siamo di fronte ad un disco dinamico, che riesce comunque ad attirare a sé ben più di una fugace attenzione grazie ad un approccio fondamentalmente equilibrato e giusto, con qualche guizzo sorprendente a fare da contorno. Per noi un centro pieno che conferma e solidifica ulteriormente la posizione di rilievo dei Pestilential Shadows.

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
releases
 
voto 
 
4.0
Opinione inserita da Luigi Macera Mascitelli    18 Luglio, 2022
Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 2022
Top 10 opinionisti  -  

Oggi ci rivolgiamo ai fan della frangia più sporca, marcia e blasfema del Black/Death; quella che trasuda Archgoat, Morbosidad, Black Witchery e compagnia bella. Stiamo parlando degli statunitensi Hellfire Deathcrush e del loro ferocissimo "Al Nombre de la Muerte", terza opera targata Helter Skelter Productions / Regain Records. Un disco che, non smetteremo mai di dirlo, potrebbe essere tranquillamente la messa in musica di un buco nero per la sua furia distruttiva che non lascia spazio ad un singolo bagliore di luce. Collegandosi direttamente con le band sopracitate, dunque, i Nostri sono dal 2013 un caposaldo del Black/Death inteso nella sua forma più brutale ed oltranzista: questo terzo capitolo non fa nient'altro che riprendere la blasfemia allo stato puro, la sporcizia abissale e nera come la pece, la furia devastante del Death e dello Slam Death e le atmosfere tetre e velenose del Black ed unire il tutto sotto un'unica bandiera. Viene da sé che gli Hellfire Deathcrush non vogliano per nulla distaccarsi da queste coordinate, preferendo di contro un approccio più personale all'interno di stilemi più che conosciuti. Ora, è scontato fare dei paragoni con i finlandesi Archgoat, ma sono inevitabili. A differenza di questi ultimi, il trio statunitense preferisce concentrarsi maggiormente sul filone Death e soprattutto Slam. Non è un caso se più volte si ravvisa una vicinanza con gente come i norvegesi Kraanium, i pionieri dello Slam Death. Da qui segue quello che forse potrebbe essere l'unico difetto di questo disco melmoso: il fatto di non dare mai un singolo attimo di respiro; cosa che ad alcuni potrebbe piacere, altri invece potrebbero aver bisogno di un momento di respiro. Ma sembra proprio che i Nostri non vogliano nemmeno pensarci a dare un freno inibitore alla loro opera blasfema: tutto è impastato e denso come il catrame, dalla voce in pig growl super cavernosa che per 35 minuti non accenna a variare di una sola pagliuzza, fino alla batteria tiratissima e serrata da inizio a fine, così come i riff ovattatissimi al limite di un boato. Eppure, come si diceva all'inizio, chi è fan del genere non potrà non riconoscere come Apocalyptic Genocidal Desecrator e soci non siano certamente personaggi alle prime armi: in un calderone così marcio e blasfemo si intravede comunque una certa esperienza nel settore, motivo per il quale il disco è sì di difficile fruizione, ma comunque riesce a spaziare e a dare all'ascoltatore delle tracce più cadenzate ("Divinities Damnation) e altre che sembrano delle sfuriate di Death/Grind ("Beneath the Black Moons Incantation"). Da parte nostra questo "Al Nombre de la Muerte" passa a pieni voti la prova configurandosi come la miglior uscita degli Hellfire Deathcrush. Consigliatissimo!

Trovi utile questa opinione? 
00
Segnala questa recensione ad un moderatore
508 risultati - visualizzati 91 - 100 « 1 ... 7 8 9 10 11 12 ... 13 51 »
Powered by JReviews

releases

Blind Golem - un ode al rock (prog?!) settantiano!
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Melodic hard rock caldo e avvolgente con gli Heartwind
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Il ritorno dei Kilmara dopo 7 anni
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Blackslash, che bell'heavy metal!
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
La voce unica di Mikael Erlandsson con atmosfere ariose ma anche malinconiche...
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Autoproduzioni

Noirad, un buon come-back dopo 7 anni
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Torchlight Parade: metallo da brividi
Valutazione Autore
 
3.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Lunarway, una promettente band ucraina
Valutazione Autore
 
3.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
In Chaos, l'ennesima dimostrazione della miopia del music business
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Empiric, una gemma nascosta
Valutazione Autore
 
4.5
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)
Katharein, un promettente gruppo dalla Romania
Valutazione Autore
 
4.0
Valutazione Utenti
 
0.0 (0)

Consigli Per Gli Acquisti

  1. TOOL
  2. Dalle Recensioni
  3. Cuffie
  4. Libri
  5. Amazon Music Unlimited

allaroundmetal all rights reserved. - grafica e design by Andrea Dolzan

Login

Sign In

User Registration
or Annulla