LINE UP:
Osten - tastiere
Iblis A.G. - basso
Vulak - chitarre
L. - voce
David Folchitto - batteria (session)
TRACKLIST:
1. Intro / 1917
2. A Darker Shade
3. Die Eisstadt
4. Dimonios
5. Feral War
6. Tanna
7. Ashes
8. Aurona
9. A Testament
LINE UP:
Osten - tastiere
Iblis A.G. - basso
Vulak - chitarre
L. - voce
David Folchitto - batteria (session)
TRACKLIST:
1. Intro / 1917
2. A Darker Shade
3. Die Eisstadt
4. Dimonios
5. Feral War
6. Tanna
7. Ashes
8. Aurona
9. A Testament
Secondo disco per i misteriosi Orgg, quartetto nato da qualche parte in Italia e devoto al Black Metal. Dopo “The Great White War” nel 2020 tornano a due anni di distanza con “Dimonios”, un album che di primo acchito può sembrare un concept ma che, più che una storia, racconta un evento, un micro mondo venutosi a formare nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, cosa che comprendiamo già dall’inizio con “Intro / 1917”, un misto di rumori e suoni mistici, che ci accompagnano al primo vero pezzo “A Darker Shade”. Black Metal glaciale che suona alla Immortal, ben controllato, con sfuriate tecniche ben dosate, con un’anima thrash che non dispiace affatto. Colpisce poi particolarmente “Feral War” al numero cinque. Brano davvero oscuro che racconta un qualcosa di cui nessuno parla, di cui troppa poca gente si interessa, cioè il destino degli animali durante una guerra. Povere anime sperdute che si sono ritrovate in un incubo da un giorno all’altro, senza neanche sapere perché, senza capire cosa stesse accadendo intorno a loro e come sia possibile che quelle Alpi che erano state da sempre la loro casa, adesso erano divenute un inferno! Altro brano degno di nota, è sicuramente “Dimonios”, pezzo che dà il titolo all’intero album. Riff secchi e veloci, taglienti come tante piccole lame, ma a farla da padrone è sicuramente la batteria, coinvolgente al massimo, con un suono netto e definito, piacevolissima da “isolare” mentalmente durante i mid-tempo e le corse lanciate in doppia cassa, cosa che prosegue in particolare per tutta la seconda parte del disco, con piccoli capolavori come “Tanna”, brano piacevolissimo, forse quello più vecchio stampo e che si discosta meno dal black più classico, ed anche “Ashes”, brano scritto in onore di un piccolo drappello di soldati dimenticati, i cui resti sono stati rinvenuti solo qualche anno fa; impossibile non pensare a quel “1916” di Lemmy e Co. Da brividi! Un lavoro glaciale eppur profondo quindi, che ben incarna il Black Metal di stampo norvegese ad esempio con brani come “Aurona”, senza però scopiazzare i classici, ma anzi creando una propria dimensione e un proprio stile, fatto sì di chitarre vorticose, screams malsani e cambi di tempo, ma miscelati in un modo che riesca a non essere mai stantio e a rimescolare le carte in tavola, anche restando fedeli alla (quasi ferrea) tradizione black. Non un album imprescindibile, ma da ascoltare sicuramente!