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Ritornano gli U.D.O. Ritornano gli U.D.O. Hot

Ritornano gli U.D.O.

recensioni

gruppo
titolo
Steelhammer
etichetta
AFM Records
Anno

1. Steelhammer
2. A Cry Of A Nation
3. Metal Machine
4. Basta Ya
5. Heavy Rain
6. Devil’s Bite
7. Death Ride
8. King Of Mean
9. Timekeeper
10. Never Cross My Way
11. Take My Medicine
12. Stay True
13. When Love Becomes A Lie
14. Book Of Faith

opinioni autore

 
Ritornano gli U.D.O. 2013-06-13 19:06:12 Dario Onofrio
voto 
 
3.5
Opinione inserita da Dario Onofrio    13 Giugno, 2013
Top 50 Opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

Ci sono artisti che 26 anni di carriera li accusano chiaramente, magari più dal punto di vista tecnico che da quello compositivo, poi c'è Udo Dirkschneider che ha sempre la stessa voce.
Il mitico ranocchio che ha scritto pagine della storia del metal con gli Accept torna dopo 4 anni da Dominator, disco che non mi aveva lasciato particolari emozioni e si collocava in un'epoca di transizione per la formazione teutonica. Infatti segnaliamo che in Steelhammer Stefan Kaufmann e Igor Gianola non ci sono più: al loro posto il connazionale Francesco Jovino e il polacco Audrey Smirnov, con l'aggiunta del nuovo axeman finnico Kasperi Heikkien, sono chiamati a sostituire due musicisti storici della band (non dimentichiamoci che Kaufmann è stato il batterista degli Accept dall'80' al 94').
Dunque eccoci qua: Steelhammer, né più né meno che un disco genuino di puro heavy metal, con pezzi altalenanti in termini di fantasia e qualità, ma che è sostanzialmente un buon prodotto: si parte subito con l'indiavolata title-track, fatta di tempi regolari e sfuriate sia vocali che chitarristiche, con i classici cori delle produzioni di Udo. Classicissime pure A Cry of a Nation, che con il suo ritornello cantabile probabilmente sarà utilizzata in sede live e Metal Machine, che verso la fine prende la rincorsa sull'assolo per darci un'ultima spallata. Se fin qua eravamo su tracce "carine", che fanno muovere la testa e saltare, con Basta Ya cambiamo proprio registro. Dedicata ai movimenti di Indignados e Occupy è cantata totalmente in spagnolo (Udo, da bravo poliglotta, ci aveva già dedicato delle folkeggianti canzoni in russo). A livello di riff la canzone ricorda un po' We Rock del buon vecchio Ronnie, ma appena il ranocchio inizia a cantare si cambiano tutte le carte in tavola: un coro epico e un ritornello facilissimo da cantare sono sia un grido di ribellione contro i poteri forti, ma anche una specie di lamento epico. Insomma, a mio avviso questa canzone si piazza già tra i migliori pezzi heavy metal dell'anno! Dopo un pezzo così travolgente tiriamo il fiato con la straclassica ballad Heavy Rain, dove scopriamo un Udo pulito e quasi lirico, mentre Devil's bite, altro pezzo da tenere in considerazione, ci riporta l'up-tempo che ci mancava da un po'. Death Ride e King of Mean invece sono due pezzi killer, sparati a supervelocità nelle nostre orecchie, mentre Timekeeper è più da "anthem", che fa il suo effetto nel rimanere nella testa dell'ascoltatore.
Ci avviciniamo verso la fine di questo lunghissimo album (ben 14 tracce!) con Never cross my way, tipico pezzo da "america di motociclisti", e l'arrabbiatissima Take my medicine, altro pezzo di cui non ci si dimentica facilmente. Stay True è la sfuriata finale prima delle ultime battute, un inno ai metallari di una volta ma anche alla libertà d'espressione e di essere. Così arriviamo alla semi-ballad When love becomes a lie, che con il suo riff semplice e il suo tempo tranquillissimo ci coccola (si fa per dire!) nonostante il tema sembrerebbe essere il tradimento, e a quello che è l'altro capitolo fondamentale del disco dopo Basta Ya, ovvero Book of Faith.
Questo fenomenale pezzo in chiusura è veramente coinvolgente: inizia con una atmosfera da western, per poi catapultarci in un tempo stranissimo, con il coro che si ripete in continuazione per tutta la prima parte. Questo perché nella seconda Udo diventa symphonic metal! Con l'aiuto di un sintetizzatore veniamo trasportati in una atmosfera apocalittica, come la colonna sonora di un film epico.
Ed eccoci dunque a tirare le somme dell'ascolto. Sicuramente i due punti a sfavore più grossi sono l'eccessiva longevità con troppi pezzi che hanno il sentore di filler e la scarsa inventiva. Eppure gli U.D.O. ce l'hanno fatta anche stavolta, dopo 26 anni di onorata carriera e senza un batterista che per la band e per lo stesso Udo era fondamentale. Steelhammer non sarà sicuramente un disco che resterà molto nei vostri stereo, ma basterebbero solo i due pezzi migliori per considerarlo un buon acquisto e una curiosità per i prossimi lavori della band. D'altronde, come dice il ranocchio stesso "Io scrivo semplicemente metal. Se poi una canzone ha bisogno di un flauto o una fisarmonica dentro non dico certo di no!".

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