Breath of Cold Black Soil
When Gods Leave Their Emerald Halls (mp3 gratuito)
Farewell to Autumn's Sorrowful Birds
Night Woven of Snow, Winds and Grey-Haired Stars
hot
Stando al titolo di questo disco, spesso la storia si ripete: la ruota gira in eterno, e l'evoluzione umana non è un sentiero unico ma un ripetersi infinito. I Drudkh continuano così la loro storia, il loro cerchio, e ritornano, dopo la parentesi post-rock di Handful Of Stars, al più tradizionale black metal di sempre.
Trentasette minuti esatti trascorsi errando tra boschi e steppe sono quelli che attendono l'ascoltatore, che dopo la breve intro Eternal Circle si ritrova subito catapultato nella tempesta di Breath of Cold Black Soil. Ben dieci minuti per una prima traccia che mozza il fiato: qualcosa dal disco precedente è rimasto, specialmente nei vocals e nell'utilizzo della tastiera, ma anche nel punto che è sempre stato marchio di fabbrica della band ucraina, ovvero gli stacchi sospesi tra una sfuriata di blast-beating e l'altra. L'alta drammaticità del pezzo ci avvolge come il mantello raffigurato sulle spalle del vecchio errante nella copertina, fino a esplodere nell'ultimo, disperato, frangente black metal. Roman non ci dà tempo per prendere fiato e ci scaraventa in When Gods Leave Their Emerald Halls, pezzo dove vocalizzi e tastiera fanno da padroni. A livello di suono vero e proprio, i nostri hanno capito che con una discreta qualità audio è anche possibile inserire parti più complesse, come quelle che caratterizzano questo pezzo, con veri e propri "cori" da oltretomba, volti a creare un'atmosfera desolata e fredda.
Farewell to Autumn's Sorrowful Birds ricalca ancora una atmosfera vikingheggiante, ameno per l'inizio, perché con l'evolversi suoni, voci, effetti si mescolano per creare un bellissimo stacco di silenzio che prelude l'implacabile blastbeat da tormenta di neve. Appena attaccata arriva Night Woven of Snow, Winds and Grey-Haired Stars, ultimo e drammatico pezzo di questo breve disco: un'immancabile blastbeat introduttivo si snoda in una tortuosa traccia che da' spazio spesso ad altri ritmi, fino all'ottimo stacco di sole chitarre verso la metà del pezzo e un ritorno ad un tempo più vikingheggiante.
Si chiude così il nuovo lavoro dei Drudkh, sicuramente rispecchiante la loro anima originale di nazionalisti ucraini, ma che non dimentica gli sperimentali trascorsi per abbandonarsi spesso a picchi di "scavo interiore". Un buon ritorno sulle scene per una band che nel suo ambiente non ha certo bisogno di presentazioni.