WILDESTARR – “BEYOND THE RAIN” LINE UP: Dave Starr: guitars & bass London Wilde: vocals Josh Foster: drums TRACK LIST: 1)Metamorphose 2)Beyond the rain 3)Pressing the wires 4)Double red 5)Down cold 6)Rage and water 7)Crimson fifths 8)Undersold 9)From shadows 10)When the night falls
Wildestarr - oltre il power metal
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Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 2017
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Gli aficionados del power metal integralista, intransigente e di non facile presa, saranno entusiasti di questa terza fatica dei Wildestarr.
Trattasi di power trio formato da Dave Starr (che si occupa di tutte le corde, dalle 4/5 del basso alle 6/8 della chitarra); ma non si occupa delle corde vocali: a quelle ci pensa, unitamente all’ugola inossidabile, London Wilde; c'è poi Josh Foster alle pelli.
Lo Starr abbiamo avuto modo di apprezzarlo nell’arco della sua militanza nei Vicious Roumors, di cui era il bassman; ed, in effetti, il tipico ed inconfondibile stile dei Vicious riecheggia per larghi tratti nella release. E non c’è da meravigliarsi: come si fa a rimanere immune al prolungato contatto con un tipaccio come Geoff Thorpe, fondatore dei mitici Hawaii?
Venendo alla struttura del songwriting, la base è composta da una sorta di tapis roulant minato, sul quale devi correre per evitare di saltare per aria, reggendo la forza d’urto della sezione ritmica cingolata propinataci dai tre.
Gli assoli di Dave sono virulenti e mai prevedibili, con qualche virtuosismo ben centellinato, al contrario degli acuti di London, utilizzati in maniera un po’ forzata, in certi momenti tanto a sproposito da risultare fastidiosi ed inutilmente eccessivi. Il drumming di Josh andrebbe misurato sulla scala Mercalli.
I pezzi, come accennavo, non risultano essere di facile presa a livello melodico, ma spaziano stilisticamente dalla immancabile (semi) ballad (Down Cold) fino alla arpeggiante “Undersold” (a mio avviso il pezzo migliore dell’album) alla sperimental-maideniana “From Shadows” ad alla track finale (When the night falls) che rievoca un po’ quell’assoluto masterpiece degli Hawaii di “Rhapsody in black”.
Eppure, dopo l’ascolto del tutto, rimane una sensazione di incompiutezza, un non so che di poco convincente, con le songs che sono scivolate via senza lasciare una traccia incisiva nell’ascoltatore.
Alla fine, il risultato complessivo è che, questo lavoro, non si appalesa come del tutto convincente o, comunque, di levatura tale da meritare una votazione alta anche se i puristi del genere ne rimarranno entusiasti.
Max “Thunder” Giangregorio