Tracklist:
1. It Comes Back Real, Pt. 2
2. Homies
3. I Want a Big Black Mama
4. New World Order
5. Anal Fisting
6. BBQ Sauce
7. Mad Slit
8. Damned
Line-up:
Mapo: batteria
Eric: chitarra
Viktor: basso
Ghode: voce, chitarra
Tracklist:
1. It Comes Back Real, Pt. 2
2. Homies
3. I Want a Big Black Mama
4. New World Order
5. Anal Fisting
6. BBQ Sauce
7. Mad Slit
8. Damned
Line-up:
Mapo: batteria
Eric: chitarra
Viktor: basso
Ghode: voce, chitarra
Chi legge le mie recensioni sa il rapporto che ho con la parola MAMMOTH in tutte le sue dannate declinazioni.
Non starò a riscrivervi tutta la tiritera che avevo tirato fuori qualche tempo fa, vi basti sapere che SI: recensisco l'ennesimo disco che contiene la fatidica parola.
Infatti non ci spostiamo troppo lontani dalle solite sonorità che accompagnano questa parola: Mammoth Disorder degli italianissimi Signs Preyer è un disco sludge/stoner fatto e finito sulle sonorità di gente come i Down di Phil Anselmo. L'attitudine da grezzoni si può udire sin dalla prima traccia It Comes Back Real II: riffoni impastati e la voce rauca di Corrado Giuliano che ci portano in postacci dominati da Rednecks e dove si beve solo Jack Daniels. Qual'è il problema? Che non tutto funziona e spesso la band rischia di cadere nel ridicolo, continuando ad esaltare all'esasperazione questa parte "southern": un esempio sono titoli come New World Order o BBQ Sauce, per non parlare di Anal Fisting.
Se il quartetto umbro sia serio o meno non ci è dato saperlo: resta il fatto che alla lunga i pezzi di Mammoth Disorder non prendono come dovrebbero, perché anziché essere accattivanti e spinti come i sopracitati Down, si finisce su Damned che quasi non se ne può più. In conclusione: Mammoth Disorder mostra molti punti di debolezza, ma lascia anche intravedere la possibilità che si possa fare qualcosa di più in futuro.