1. Ashes
2. Return Of The Thought Police
3. Staring At The Sun
4. Liberty Complacency Dependency
5. Colophon
6. The Hours
7. That’s Why We Came
8. Don’t Look Down
9. Coda
10. Rubicon
11. Divinity (digipack vers. bonus track)
1. Ashes
2. Return Of The Thought Police
3. Staring At The Sun
4. Liberty Complacency Dependency
5. Colophon
6. The Hours
7. That’s Why We Came
8. Don’t Look Down
9. Coda
10. Rubicon
11. Divinity (digipack vers. bonus track)
Cinque lunghi anni sono passati da "Dead Reckoning" ultima perla targata Threshold, che ritrovano lo storico cantante Damian Wilson dopo la separazione da Andrew "Mac" McDermott che ci ha tristemente lasciati solo un anno fa. Il tanto atteso nono album in studio della band inglese è "March of progress" ed esce sotto Nuclear Blast.
Nonostante il tempo trascorso, il sound che troviamo in questo disco non si discosta molto da quello per certi versi più “easy listening” di “Dead Reckoning” e “Ashes”, brano posto in apertura, segue la via di pezzi di grande impatto come “Slipstream” (da “Dead Reckoning”) o “Mission profile” (da “Subsurface”), e riesce a catturare sin dal primo ascolto. Altrettanto vincente è la successiva “Return of the thought police”, uno dei miei pezzi preferiti dell'intero disco. Richard West alle keys si alterna con la chitarra di Karl Groom e i due master minds sono ancora una volta impeccabili sotto ogni punto di vista (tecnico, esecutivo e chiaramente di songwriting). Il lato più prog del disco si scopre un po' alla volta già a partire da “Staring at the sun”, che strizza un po' l'occhio alle produzioni più datate e maggiormente sperimentali della band come “Hypotetical” e “Clone”. Il disco prosegue e i Threshold con una precisione chirurgica non sbagliano una virgola; vi renderete presto conto di come gli oltre 70 minuti di musica contenuti in “March of progress” scorrino via che è un piacere senza un accenno di sbadiglio, senza la minima tentazione di aprire facebook per controllare il proprio profilo. “Colophon” è altro pezzo degno di nota e ricco di classe, dove Damian Wilson dà il meglio di sé soprattutto durante la parte acustica iniziale, prima dello splendido solo di Groom che apre la strada ad un chorus che merita senza dubbio la lode. D'altronde la cura dei cori è sempre stata una marcia in più per West e company e questo disco ne è l'ennesima conferma. La fantastica "The hours" vi ammalierà già dai primi ascolti, mentre la semi ballad “Thats why we came” e la power-prog song “Dont look down” aprono la strada al gran finale: “The rubicon” racchiude in oltre 10 minuti tutto quello che di meglio i Threshold ci hanno regalato in ormai vent'anni di carriera.
La band inglese possiede da sempre una rara capacità di suonare progressive senza annoiare anzi, entrando nella mente e nel cuore dell'ascoltatore già dai primi ascolti grazie ad un gusto per la melodia che ha pochissimi eguali (qualcuno sta pensando agli Shadow Gallery?) e che in alcuni chorus si avvicina a produzioni di stampo Aor e Melodic Hard Rock. Gli anni passano ma i Threshold restano dei maestri assoluti nel loro genere e forse mai come ora possono guardare tutti dall'alto; “March of progress” è un disco di livello superiore, un album imperdibile per chi la Classe, quella con la C maiuscola, la sa riconoscere.