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Buone speranze per gli Artaius. Buone speranze per gli Artaius. Hot

Buone speranze per gli Artaius.

recensioni

gruppo
titolo
Torn Banners
etichetta
Bakerteam Records
Anno

Tracklist:

1. Seven Months
2. Daphne
3. Leviathan
4. Eternal Circle
5. The Hidden Path
6. Pictures of Life
7. Pearls of Suffering
8. Dualità
9. By Gods Stolen
10. By Humans Claimed
11. Torn Banners

Line-up:

Enrico Bertoni: basso
Alessandro Ludwig Agati: batteria
Mia Spattini: flauto, violino
Giovanni Grandi: tastiera, voce
Sara Cucci: voce
Massimo Connelli: chitarra

Special guests:

Tim Charles (Ne Obliviscaris) - violino su "Leviathan"
Lucio Stefani (Mé Pék / Barba) - violino
Dario Caradente (Kalèvala) - flauto e thin-wistle

opinioni autore

 
Buone speranze per gli Artaius. 2015-05-30 13:07:58 Dario Onofrio
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Dario Onofrio    30 Mag, 2015
Top 50 Opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

Ne vediamo di cotte e di crude nella scena folk italiana: da band che cercano palesemente di copiare chi viene da nord a altre che fanno musica solo per divertirsi e vedere gente che poga e rotola, oppure interessanti esperimenti volti a contaminare il folk metal moderno con la nostra cultura.
Provano a fare quest'ultimo passo gli Artaius con questo Torn Banners, secondogenito della band dopo la release di The Fifth Season nel 2013. Il sestetto italiano (si, ben sei elementi!) presenta un disco molto Eluveitie-Oriented, come si intuisce sin dal primo pezzo dal titolo Seven Months.
Un veloce giro di flauto e violino ci butta in un "reel" alla irlandese condito da una simpaticissima tastiera alla Alestorm e dal growl di Giovanni Grandi, che nelle intenzioni della band deve stridere con la "delicata" ugola di Sara Cucci. Questa sarà più o meno la formula che troveremo nella successiva Daphne e in un altro pezzo come Eternal Circle, quarta traccia del disco.
Dal terzo pezzo in poi iniziamo a sentire il sound diversificarsi leggermente, nonostante le linee vocali della coppia Grandi/Cucci restino sempre le stesse (variazioni solo quando la ragazza va su come soprano, e che variazioni!). Infatti Leviathan si contraddistingue per un suono quasi più sludge/modern, con la Cucci che ci regala un'ottima prestazione vocale e un'inaspettata comparsata del leader dei Ne Obliviscaris Tim Charles nell'assolo di violino.
The Hidden Path mostra un tempo più dedito all'incedere, con una tastiera che spesso e volentieri ricorda i Between the Buried and Me, mentre Pictures of Life, affidata completamente alla Cucci e al violino di Mia Spattini, è un ottimo stacco ballad/semiacuistico per riprendersi dalla parte più death metal ascoltata fin'ora.
Fino a questo momento è difficile farsi un'idea precisa di cosa facciano gli Artaius: la band mescola un po' di tutto, dal death al modern, passando a volte per l'industrial e a volte quasi per il metalcore, ma senza tralasciare delle irruzioni in campo progressive con uno smodato utilizzo della tastiera. Il pezzo che riassume efficacemente il contenuto di questo disco è Pearls of Suffering, che inizia appunto con una tastiera che sembra quasi uscita da un disco space-rock per poi lasciare spazio all'accoppiata Cucci/Spattini. A metà pezzo la band mescola ancora le carte in tavola piazzando una danza irlandese al flauto e poi buttandoci in un fantastico e lunghissimo assolo di tastiera che sembra uscito direttamente dai 70's, per lasciar finire la canzone a un "andersoniano" ospite come Dario Caradente dei Kalèvala.
L'unico pezzo che non mi ha convinto del tutto nel disco è la successiva Dualità: bella l'idea di cantare un pezzo in italiano e ci sta darci una linea melodica ben precisa e non complicata dopo il precedente; ma si rischia spesso di scadere nell'orribile banalità degli ultimi Eluveitie.
Per fortuna By Gods Stolen alza un po' il tiro nonostante sia anch'essa un pezzo decisamente lineare, per poi introdurci in By Humans Claim, pezzo che potrebbe essere tranquillamente uscito da una sessione tra Henia e i Machine Head.
Arriviamo alla conclusione con la title-track che è sicuramente un grandissimo finale: Torn Banners irrompe con ferocia nel nostro impianto audio per una vera e propria cavalcata dove persino il ritornello cantato in clean riesce ad entrare in testa. Per me che sono abbastanza intransigente col folk questa è una gran cosa: erano anni che il ritornello di un pezzo non mi restava così in testa!

Bene, finita questa recensione vi chiederete: ma perché ne hai parlato bene fino ad ora e gli dai solo 3 su 5?
La risposta è semplice: gli Artaius non sono riusciti a convincermi del tutto perché mi sembra che non sappiano bene cosa vogliono fare. Senza contare che le voci dei cantanti raramente riescono a emozionare e, anzi, mi permetto di dire che la voce della Cucci è efficace solo quando va in soprano. La parte ritmica del resto è praticamente solo un sottofondo: il basso di Enrico Bertoni, la batteria di Alessandro Agati e la chitarra di Massimo Connelli sono spesso solo dei contorni per la parte folk, cosa che ci fa pensare tantissimo a Everything Remains degli Eluveitie.

Anzi, volete saperla una cosa? Se questo disco fosse uscito sotto il moniker degli svizzeri di sicuro sarebbe esploso come una bomba a orologeria, difatti mi è piaciuto decisamente di più dell'album sopracitato e degli ultimi noiosissimi exploit degli elvetici.

Eppure solo due tracce entreranno ufficialmente nella mia playlist estiva (Torn Banners e Pearl of Suffering), mentre le altre finiranno nel dimenticatoio generale del folk metal italiano. Peccato? Non direi: se nel prossimo album i nostri troveranno una strada da seguire sono sicuro che finalmente ascolteremo qualcosa di veramente degno di nota.

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