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Tecnica mostruosa per i Six Minute Century, ma non basta Tecnica mostruosa per i Six Minute Century, ma non basta Hot

Tecnica mostruosa per i Six Minute Century, ma non basta

recensioni

titolo
“Wasting time"
etichetta
Nightmare Records
Anno

 

TRACKLIST:

·        1900

·        City of Hope

·        Just Remains

·        The Killing Fields

·        Baptized in Flames

·        Paying Death’s Toll

·        Czardas

·        Last Days in Paradise

·        Needham Point

·        That Defining Moment

·        Hell’s Gate

·        Wasting Time

 

 

 

LINE UP:

Michael Millsap (Bass)

Mikey Lewis  (Drums)

Don LaFon (Guitars)

Chuck Williams (Vocals)

opinioni autore

 
Tecnica mostruosa per i Six Minute Century, ma non basta 2014-06-18 13:50:43 Ninni Cangiano
voto 
 
3.0
Opinione inserita da Ninni Cangiano    18 Giugno, 2014
Ultimo aggiornamento: 05 Settembre, 2014
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Avendo da poco intrapreso una collaborazione, fra le altre, con la Nightmare Records, è stato messo a disposizione della nostra webzine il catalogo recente della label; tra le releases presenti mi ha incuriosito parecchio questo “Wasting time”, secondo album degli statunitensi Six Minute Century, anche per l’elegante copertina. Non conoscevo affatto questa band (operante dal 1993 al 2004 con il nome di Mystic Cross, con all’attivo altri 2 albums), ma ascoltando le prime note dell’opener “City of hope” (esiste anche l’intro “1900”, ma potete tranquillamente evitarla), ne sono subito rimasto favorevolmente impressionato. Questa band viene presentata come dedita ad prog-power metal molto tecnico; obiettivamente la prima qualità che è evidente è proprio la tecnica mostruosa dei musicisti, anche se il sound è più sbilanciato verso il prog, piuttosto che sul power, di cui conserva solo la velocità di esecuzione ed una rara melodicità di fondo. Parlando di tecnica, come detto, i tre musicisti sono semplicemente dei maestri, dal bassista Michael Millsap (autore di numerosi assoli di gran pregio e gusto), passando per il chitarrista Don LaFon che non ha nulla da invidiare ai ben più osannati nomi della scena chitarristica americana, finendo al batterista Mikey Lewis che, pur non essendo protagonista come gli altri due, è sempre preciso e puntuale nel sostenere il lavoro altrui e dettare i ritmi, spesso molto veloci, delle canzoni. Non mi ha fatto impazzire, invece, la voce di Chuck Williams, pulita e grintosa a dovere, ma un po’ troppo “esagerata” nella ricerca delle note più alte del pentagramma. “Wasting time” è composto da 11 pezzi (+ la predetta inutile intro), piacevoli ma di non semplicissimo ascolto. A voler, infatti, trovare un difetto, le canzoni dei Six Minute Century sono un po’ troppo prolisse e lunghe (mediamente siamo ben oltre i 5-6 minuti); diciamo che, qualora la maggior parte dei pezzi durasse 1-2 minuti di meno, a mio parere, il risultato sarebbe sicuramente più godibile. Tornando ai brani, quello che maggiormente mi ha impressionato e colpito è la strumentale “Czardas”, rifacimento dell’omonimo brano del 1904 del compositore Vittorio Monti, basato su musica popolare ungherese (appunto la “ciarda”), in cui Michael Millsap è semplicemente mostruoso, facendo fare al basso la parte del violino! Il resto dei pezzi non è assolutamente male, dalla title-track “Wasting time” (posta a suggellare degnamente il lavoro), alla già citata “City of hope”, passando anche per “Paying death’s toll” (ricca di parti soliste decisamente suggestive per la loro complessità) e la frizzante “The killing fields”. Tirando le somme, “Wasting time” dei Six Minute Century mette in mostra una band dalla tecnica eccezionale, ma è un po’ troppo prolisso per i miei gusti da appassionato del prog-power (per capirci, bands come Voyager e Sandstone sono di un altro pianeta!); per il futuro servirebbe suggerire al singer di non ricercare troppo l’acuto e sfruttare meglio il colore ed il calore della propria voce, ma soprattutto serve una maggiore attenzione al songwriting, magari lasciando da parte un po’ di prog, per innestare un po’ più di melodicità tipica del power e rendere così l’ascolto più “semplice”. Ad majora!

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