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ENZO PRENOTTO

ENZO PRENOTTO

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03/09/2017

 

Nuovamente un sole potente e luminoso e quindi si approfitta del bel tempo per una gitarella turistica nelle vicinanze. Dopo un delizioso pranzo in riva al lago è tempo di tornare al festival per assistere alle ultime esibizioni, prima fra tutte quella dei Cellar Noise presso l’auditorium. Il quintetto milanese (nato nel 2013) oltre che proporre una cover di Steven Wilson propone un set incentrato su di un prog rock classico/moderno che però si ispira fin troppo al mastermind dei Porcupine Tree. Le sfumature pop, le partiture elaborate e il lato più melodico pur essendo ben suonati non esprimono personalità rimanendo inglobati all’interno delle proprie influenze. Il brano nuovo eseguito invece ha suscitato un certo interesse offrendo qualcosa in più. Da rivedere quando la band sarà più matura.
Il bel tempo continua, niente di meglio per fare gli ultimi acquisti al merchandise in attesa della prima band ossia gli Ingranaggi Della Valle. Sulla carta si presenterebbero anche bene con un sound variegato ed interessante. Sul web ci sono diversi video che fotografano una band nostrana dal sound particolare, un miscuglio di prog, avanguardia, jazz, funky e sperimentazione. Il gruppo è decisamente numeroso sul palco e chi scrive era curiosissimo di vederlo dal vivo ma dopo i primi pezzi la curiosità è andata a quel paese per una gestione al mixer nuovamente indecorosa. Il sound del combo è ultra elaborata ed è stata storpiata e stuprata da suoni non all’altezza martoriando la fatica dei musicisti nell’esprimere con la musica le proprie idee. Dispiace veramente vedere certe scene ma assistere ad un concerto così non si può. Va forse peggio per l’artista successiva che è stata ulteriormente massacrata da suoni letteralmente osceni. Sophya Baccini è un pezzo di storia del prog italiano, prima con i Presence, poi nella carriera solista omonima ed infine con il nuovo progetto (con cui si presenta sul palco) Sophya Baccini’s Aradia, band di quasi sole donne tranne il chitarrista. Sophya è una cantante napoletana dalle notevoli qualità sia vocali che compositive ed il suo prog oscuro, occulto/esoterico con una solida impronta personale è di assoluta qualità come pure è il tasso tecnico della band che l’accompagna. Il set si presenta di puro progressive nella sua accezione originaria quando non era legato a schemi o ad una dimostrazione di mera tecnica. Il prog, specie quello italiano spesso si è rivelato una spanna sopra alla concorrenza estera e lo show lo conferma. Ovviamente la maggior parte del numeroso pubblico purtroppo se ne sta lontano, forse incapace di apprezzare la qualità, lasciando ad un piccolo ma caloroso gruppo di appassionati il supporto. Come detto il concerto è improponibile causa nuovamente di misteriosi problemi ai suoni e pure quando appare Christian Décamps (cantante degli Ange) a duettare con Sophya tutto è incomprensibile ed a volumi bassissimi. Una cosa vergognosa. Io ero lì per lei e pochi altri gruppi e sinceramente un trattamento del genere non me lo sarei mai aspettato. Ma è una situazione che si è ripetuta per diversii gruppi di apertura, mentre per i big la situazione è stata notevolmente diversa. Basta vedere lo show successivo con i Frost* per rendersene conto dove pareva di sentire direttamente un disco da quanto tutto fosse perfetto. Tutti me ne parlavano bene di questa band, idolatrandoli come il futuro del prog, dei miti assoluti e la cosa da un lato mi spaventava (quando troppa gente parla bene di qualcosa c’è da preoccuparsi) e dall’altra mi incuriosiva tanto da farmi prendere un loro cd avendo ascoltato solo un pezzo. Dopo pochi minuti l’area si riempie di brutto per la band di Jem Godfrey, musicista che arriva dal pop ed accompagnato da una sorta di super band (tra cui il batterista di Steven Wilson). Mi sono bastati pochi attimi per capire perché ci fosse questo entusiasmo fin troppo elevato. Tecnica, tecnica ed ancora tecnica mescolata a tanti inserti elettronico/futuristici, un approccio decisamente pop nelle linee vocali ed in generale una botta maggiore rispetto al lavoro in studio. Questo voleva il pubblico, un sound facilone con dimostrazioni di tecnica mostruose e dei suoni talmente pompati da far esplodere l’impianto. Non si parla più di prog ma di un mero surrogato a cui purtroppo molte bands stanno attingendo e la cosa dispiace perché lo spirito originario viene decisamente snaturato. Sul palco poi la band appare quasi arrogante e con le manie di grandezza. Onestamente il tutto non mi ha detto nulla e nemmeno gli storici Procol Harum sono riusciti a darmi un emozione palpabile. E’ rimasto solo il buon Gary Brooker al timone della band. Nulla da dire sull’importanza storica (anche se comunque li ritengo fin troppo sopravvalutati) dei Procol, a loro modo precursori di quello che sarebbe arrivato dopo il loro debutto, ma il loro approccio troppo melodico non è esattamente nelle mie corde. Ovviamente il pubblico voleva loro ed ha avuto ciò che voleva. Uno show fatto da professionisti che però mi son parsi fin troppo spenti suonando perché dovevano e non certo per la passione. Uno show interlocutorio di pop/prog orchestrale, qualche intermezzo blues ma in una salsa fin troppo commerciale e facilona. Per come vede il prog il sottoscritto la parte del leone l’hanno fatta gli Ingranaggi della Valle e Sophya Baccini, tutto il resto lo lascio volentieri ad altri. In ogni caso ogni band è stata un’esperienza da provare e sicuramente non tornerei indietro nel tempo per cambiare nulla. Ebbene, con questo si conclude il festival che auguro possa continuare per lungo tempo e se avrò occasione frequenterò nuovamente.  Alla prossima!!!

02/09/2017 

Fortunatamente torna il bel tempo ed un bel sole offre relax e calore per riprendersi dalla gelida nottata precedente. Ci si dirige un pochino più tardi al festival e dopo aver assistito agli ultimi minuti del secondo show degli Lo Zoo di Berlino si va diritti al main stage per acquisti selvaggi ai banchetti cd (alcuni parecchio cari bisogna dirlo) in attesa della prima band. Arrivano i tedeschi Deafening Opera sul palco e purtroppo si assiste alla prima delusione vera e propria del festival. Anche per loro dei suoni confusi che non fanno capire molto di quello che accade ma è proprio il sound della band che non convince. Partendo da una base prog metal il gruppo ha cercato di inglobare qualche elemento prog rock più classico ma fallisce in entrambi i fronti. Pur essendo tecnicamente preparati i musicisti non riescono ad impressionare né i metallari né i più colti appassionati di prog non arrivando da nessuna parte annoiando i presenti. Come per i The Tangent/Karmanic (un applauso per i musicisti che sono stati in giro per tutta la durata del festival) sale sul palco un'altra doppia band ossia i Karfagen & Sunchild che vedono in entrambe le formazioni Antony Kalugin mastermind e compositore di una marea di dischi. Lo stile presentando è l’unione del neo-progressive rock dei Sunchild con il symphonic rock dei Karfagen. La compagine ucraina presenta uno show dolce e soffice, etereo e magico con una punta oscura ed anziché puntare sulla tecnica a tutti i costi crea invece atmosfera. Il mood che si crea è quello giusto ed ognuno dei musicisti dà il massimo affinchè i pezzi trasmettano emozioni. Pur non essendo originali e mantenendo una certa linea musicale fissa il concerto è stato ottimo ma il meglio doveva ancora arrivare. Quattro figuri a nome Discipline prendono possesso del palco ed il frontman/tastierista si presenta con un face painting che ricorda qualcosa dei Kiss ma in versione più teatrale. I suoni magicamente (troppo rispetto agli altri gruppi) diventano cristallini e micidiali e la band capitanata da Matthew Parmenter offre la miglior performance dei tre giorni. Oscuri (i riff di chitarra sono una vera e propria mazzata sui denti), teatrali come già detto specie nelle vocals dark del singer, ritmiche potenti ed un approccio al prog rock (che sfocia anche in ambienti quasi metallico/sabbathiani) incisivo e dark. Presenza scenica e padronanza strumentale assolutamente di primo ordine avvolgono il pubblico in in mood plumbeo e malinconico che non lascia scampo. Spettacolari!! Durante il cambio palco scambio due parole con i gentilissimi Karfagen e con gli stessi Discipline, tutti umilissimi e molto cordiali. E si arriva all’ultima band con la difficile impresa di suonare dopo uno show micidiale come quello precedente. Non si capisce cosa accada in zona mixer ma si ritorna a dei suoni indecenti e gli americani Glass Hammer si ritrovano con una chitarra praticamente azzerata ed un sound generale fiacchissimo, un problema davvero fastidioso che avrà il suo apice il giorno dopo ma si andrà con calma. La band finalmente riesce ad uscire dai confini nazionali e presenta per intero l’ultimo album Valkyrie scandito dalle vocals della splendida frontwoman Susie Bogdanowicz (che nel disco è spalleggiata dalle voci di Steve Babb e Fred Schendel). L’album in sé non fa gridare al miracolo ma dal vivo sicuramente rende meglio ma la performance non viene bene come avrebbe dovuto essere. Lo show non decolla mai e si mantiene su coordinate troppo tenui sia a causa dei suoni sia a causa di una musicalità prog/symphonic che necessita di un ambiente più chiuso e piccolo per valorizzare meglio il tutto. In ogni caso il sottoscritto si è goduto comunque lo show fino in fondo apprezzando comunque la prova degli americani. Dopo i saluti di rito con la band e qualche chiacchierata qua e là si rientra alla base in attesa dell’ultima giornata.

Rientrato da qualche giorno dal Beyond The Gates Festival (Bergen, Norvegia) il sottoscritto godeva ancora di una settimana di ferie e quindi ne ha approfittato per spendere gli ultimi giorni di relax al 2Days Prog + 1 Festival, un evento giunto alla nona edizione e dedicato al Progressive Rock ed a tutte le sue evoluzioni. Il festival si svolge a Veruno, piccolissima località piemontese in provincia di Novara in mezzo alla campagna.

4 treni differenti e diverse ore di viaggio attraverso tre regioni mi separano dalla meta. Partito nel primo pomeriggio arrivo verso sera nelle vicinanze del minuscolo paesino presso un alloggio trovato per miracolo causa la notevole mole di richieste di pernottamento. Quattro chiacchiere (che poi diventeranno 4000) con il bizzarro gestore del bed and breakfast fanno passare velocemente il tempo e quindi si va a dormire per prepararsi alla prima impegnativa giornata dell’evento.

Grazie alla disponibilità di un paio di ragazzi che alloggiavano sotto lo stesso tetto ottengo un passaggio per il festival e qui bisogna dire due parole su due dei maggiori problemi che affliggono l’evento. Scarsissima la presenza di alloggi in paese ed anche nelle vicinanze e considerata la gran affluenza si spera venga trovata una soluzione. Stesso discorso per i mezzi pubblici, totalmente o quasi assenti e se non si è muniti di mezzo proprio sorgono non pochi problemi ed il servizio taxi con i suoi prezzi non aiuta, magari se ci fosse un possibile accordo tra loro e gli organizzatori per prezzi agevolati sarebbe di grande aiuto.
L’area dell’evento è attrezzata al meglio con bagni, numerosi stands di cd, un main stage sicuramente di impatto ed una zona ristoro con ottimo cibo a prezzi sicuramente abbordabili per tutti. Si arriva quindi di buon’ora in zona per assistere al primo show che si svolge nell’auditorium, luogo anche dove si sarebbero dovuti svolgere i meet and greet con gli artisti, ma che a mio parere non sono stati organizzati al meglio e troppo era lasciato al caso, sarebbe stato opportuno mettere la lista di chi avrebbe partecipato e gli orari precisi (nei festival esteri è la prassi). Si inizia quindi con la prima band:

01/09/2017

 

Come preannunciato nell’auditorium, situato a due passi dall’area concerti, ogni pomeriggio si esibisce una band e nella prima giornata spetta agli Lo Zoo di Berlino aprire le danze. Il trio nostrano si presenta con una formazione basso, batteria e tastiere senza nessun ausilio di voce o chitarra. Lo show si presenta sorprendente e fantasioso e dimostra quanto i ragazzi ci sappiano fare mescolando prog, rock alternativo, post-rock, psichedelia e pure un certo stoner per quanto riguarda certe linee stordenti di basso. Il concerto convince ed entusiasma i presenti e prepara alla grande per i concerti successivi quindi ci si sposta nell’area del festival. I primi a calcare le assi del palco principale sono i veneti Mad Fellaz che dopo due dischi di ottima qualità nel campo del progressive rock di stampo classico (molto usati strumenti come flauto e clarinetto) hanno subito importanti cambi di formazione in primis la sostituzione della cantante Anna con Luca e la perdita di un chitarrista notevole come Jason sostituito da Ruggero. Sebbene i due fossero presenti solo nel secondo disco, hanno dato un’impronta decisamente personale ma il gruppo non si dà per vinto deciso quindi a dimostrare le proprie qualità. Il concerto si rivela strano, legato ancora al passato e con idee ancora confuse sul futuro. Le vocals sono già più aggressive e soul, trattenute parecchio ed il sound generale risente di suoni non all’altezza (di cui si parlerà dopo) creando un pastone confuso. Nel complesso uno show buono ma personalmente mi aspetto di rivederli in occasioni più mature. Seguono i Comedy Of Errors direttamente dalla Scozia anche loro vittime di suoni non propriamente memorabili. Nubi minacciose, nere lasciano intendere dei rovesci micidiali ma si rimane tutti sotto al palco. In questo caso si parla di neo-progressive rock, quello di scuola anni 80’ con un abbondante uso di melodia, accenni sinfonici ed in generale una botta maggiore rispetto ai dischi in studio. Lo show è quadrato, potente ed epico con una performance vocale di assoluto pregio (fantastica la parte cantata in mezzo al pubblico) ed un lavoro strumentale fantastico. L’approccio è molto british pop, elegante e soffice e rende il concerto davvero bello e coinvolgente facendo scoprire ai neofiti una band da riscoprire. La pioggia comincia a scendere sempre di più ma i più duri non demordono. Dopo aver salutato gli scozzesi è tempo dei The Tangent+Karmanic ossia due bands assieme sullo stesso palco in quanto Jonas Reingold è bassista di entrambe le bands mentre Andy Tillson e company (The Tangent ovviamente) saranno il collante. Il set prevede estratti da entrambi i fronti. Musicalmente parlando ci si ritrova nuovamente sul neo-prog ma molto più legato agli anni 70’ che non alle derive melodiche arrivate nella decade dopo. Anche per loro il sound è raffinato e nonostante la pioggia insistente ed il freddo non indifferente la musica scorre leggiadra e soffice. Sicuramente la band dimostra classe e stile, nulla di innovativo ma comunque si sente la differenza rispetto a molti altri colleghi. Il brutto tempo continua ad imperversare (nella pausa di cambio palco con non poca fatica riesco ad intercettare tutta la band per le firme e foto di rito) ma gli irriducibili non mollano. La stanchezza è sempre più pesante ma rivedere nuovamente i Motorpsycho dal vivo è sempre un’occasione da prendere al volo. Il trio norvegese è sempre stato trasversale e definirlo prog è riduttivo. Il mix sonoro della band abbraccia talmente tante cose che ogni concerto è sempre diverso. La serata ha visto il gruppo nordico in un set compatto e diretto meno psichedelico e decisamente meno elaborato o cerebrale, eppure lo show risulta convincente in ogni incarnazione del gruppo che grazie a suoni decisamente ottimi sprigiona energia a catinelle gasando il numeroso pubblico presente. Oramai stremati ci dirigiamo all’alloggio per riposare in attesa della seconda giornata. 

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