1. Kneel ‘Till Doomsday
2. The Poorest Waltz
3. A Tapestry Scorned
4. Like A Perpetual Funeral
5. A Map Of All Our Failures
6. Hail Odysseus
7. Within The Presence Of Absence
8. Abandoned As Christ
1. Kneel ‘Till Doomsday
2. The Poorest Waltz
3. A Tapestry Scorned
4. Like A Perpetual Funeral
5. A Map Of All Our Failures
6. Hail Odysseus
7. Within The Presence Of Absence
8. Abandoned As Christ
Concordo appieno con la recensione, a livello di evoluzione credo i colleghi Katatonia li abbiano superati, e sono convinto la loro ora migliore si sia avuta con l'insuperato secondo album, tornassero a quello stile Death/Doom ci guadagnerebbero, a patto di essere ispirati come allora. Niente brutti album dai nostri, ma da anni album solo buoni molto simili tra di loro.
I My Dying Bride mi danno la maggior parte delle volte sempre quella sensazione di star stretti negli abiti che loro stessi si sono cuciti addosso. I signori del Doom inglese che un tempo si dividevano il podio insieme ad Anathema ed in qualche modo ai Paradise Lost, sono rimasti gli unici dei tre che ancora continuano per lo più a suonare sempre alla stessa maniera di vent’anni fa, mentre gli altri due gruppi hanno cambiato, evoluto o involuto (a vostro piacimento) il proprio sound. Di fatto dopo i due masterpieces indiscussi dei My Dying Bride, “Turn Loose The Swans” e “The Angel And The Dark River”, sono rimasto pienamente colpito da Aaron Stainthorpe ed i suoi, in sole altre due occasioni: per il recente esperimento “Evinta” e per quel tanto criticato “34.788%...Complete”, nel quale la band aveva aperto le porte anche alla musica elettronica ma senza snaturare poi tanto il proprio stile. Per il resto il gruppo di Yorkshire, per paura o semplicemente perché non vuole scontentare i propri fans negli anni non ha fatto altro che ripetersi, album dopo album, talvolta in modo più sulfureo, rabbioso, funereo, altre volte in modo più romantico. “A Map Of All Our Failures” non si scosta dalla propria canonicità musicale, siamo di fronte ad otto tracce che ripercorrono tutto ciò che “la sposa morente” ha dimostrato di saper fare negli anni: quindi per lo più i ricami di chitarre che si adagiano su ritmiche arrancanti e che si fanno più energiche in due brevi episodi, quando anche Aaron lascia le clean vocals per optare per il suo ottimo growling. Campane a morte, qualche breve momento di organo da chiesa, qualche breve intermezzo di violino, che ci fa rimpiangere le ben più strutturate canzoni degli album sopraccitati. Aaron è come al solito il fulcro di tutto, con la sua voce ben impostata, teatrale, poetica, ma alla fin fine il disco, pur nella sua bontà, sa di mestiere lontano un miglio. Senza nulla togliere all’opener, alla ottima “A Tapestry Scorned” o alla plumbea “Hail Odysseus”, continuo nella mia convinzione che i My Dying Bride potrebbero fare di molto meglio.